
Benito Butali
Arezzo, 6 settembre 2019 - SE NE È ANDATO l’’ultimo leone, l’ultimo dei padri fondatori del dopoguerra, l’ultimo di quella grande generazione che aveva fatto la fortuna di Arezzo dalla ricostruzione al Miracolo economico, dagli anni ’70 fino all’era telematica, di cui il suo impero appunto è uno dei maggiori fornitori con l’elettronica. Benito Butali, che è morto ieri pomeriggio quando gli mancavano solo pochi giorni a compiere 95 anni, era un gigante del commercio, così come i fratelli Lebole lo furono dell’industria dell’abbigliamento e Carlo Zucchi e Leopoldo Gori dell’oro. Pochi altri come lui hanno inciso sugli stili di vita degli aretini e non solo di quelli.
Classe 1924, cresciuto in pieno fascismo, raccontava che il nome Benito non gli era stato dai genitori per ossequio al Regime, ma da uno stalliere che lavorava per la famiglia. Era uscito gracilino dal parto e molti dubitavano che potesse sopravvivere. Fu il garzone, fanatico fascista, a dire al prete che lo stava battezzando d’urgenza di chiamarlo col nome del Duce. I suoi avevano un’attività di legname che portava in casa un dignitoso benessere, lui cominciò proprio da lì, nell’immediato dopoguerra, con il deposito (anche di carbone) di via Ticino, quello del quale gli over 50 ricorderanno i capannoni, dove adesso c’è piazza Zucchi.
MA L’UOMO (sano e robusto nonosante il travaglio della nascita) era troppo ambizioso e intraprendente per accontentarsi di portare avanti il commercio di famiglia. Eccolo, dunque, che già negli anni ’50 si lancia nell’avventura della Butangas, una delle grandi sigle di allora del gas di città, del quale diventa il distributore locale. Dai tubi del gas alle cucine a gas, il passo è breve, almeno per uno che ha la vista lunga. E da lì agli elettrodomestici è solo un allargamento degli orizzonti. Nei primi anni ’60 il Sor Benito, come lo chiamavano tutti, apre il suo primo negozio, in via Vittorio Veneto, a un passo da piazza Saione.
E’ l’età dell’oro del Boom, come ricorda in «Dopoguerra» un grande storico come Tony Judt: il frigorifero, la lavatrice, la più lussuosa lavastoviglie rivoluzionano la vita delle famiglie e delle donne in particolare. L’intuizione di Butali (l’insegna porta ancora il suo nome) è di venderli su larga scala e in particolare di venderli a rate, portandoli nella disponibilità di tutti. Un colpo di genio, gli aretini del Miracolo Economico vanno a comprare da lui, i negozi si moltiplicano, quasi uno per quartiere. Nel 1968 apre anche a Firenze, col nuovo marchio di Casa dello Sconto, suggerendo subito l’idea di risparmio. Poi il nuovo nome si allarga, ai punti di vendita aretina ma anche a quelli che apre in mezza Toscana. E’ l’albore dell’impero.
INTANTO però il Sor Benito si è lanciato in una nuova avventura, quella di una syndacation nazionale in cui i commercianti di elettrodomestici restino sì indipendenti ma abbiano la forza per trattare da pari a pari coi prodotturi, quelli italiani e le multinazionali. Nel 1972 nasce la Get, che nel 1999 si evolverà in Euronics, un colosso che sul mercato ordinario e on line se la gioca con l’altro gigante Media World. Lui è il fondatore, rispettato da tutti gli altri soci.
Il contorno è fatto di tre anni alla presidenza dell’Arezzo, col quale predispone una squadra di serie A, miseramente retrocessa, un posto (2003) nel Cda di Banca Etruria, dal quale se ne va in tre mesi col solito intuito per i guai, la presidenza dell’Ascom dal 2007 al 2012, ultimo dei Mohicani di un’età ormai al tramonto. Arguto, alla mano, umile dell’uniltà di chi si è fatto da solo, il sor Benito negli ultimi anni si era ritirato per gli acciacchi dell’età, lasciando spazio ai figli. Lascia un gruppo che solo con la Butali Spa (nella quale c’è anche Teletruria, da lui rilevata e rilanciata nei primi anni ’80) vale 214 milioni di fatturato, terza azienda aretina, prima per dipendenti (700), quattordicesima in Toscana. C’è bisogno di altro per dire chi sia stato «il Butali»?