Salvatore Mannino
Cronaca

Il memoriale dell'assassino di via della Robbia: chiedo scusa, perchè l'ho uccisa

Ferrini lo consegna al suo avvocato, lo depositerà agli atti del processo rinviato per l'udienza decisiva e la sentenza al 7 maggio. Giudice in aula, omicida collegato dal carcere

Federico Ferrini

Arezzo, 1 maggio 2020 - Le sue prigioni ha volute raccontarle in un memoriale, ma soprattutto ha voluto raccontare il suo delitto, le ragioni che lo hanno spinto ad uccidere, il rimorso per il dolore che ha provato tra i suoi familiari e quelli della sua vittima. Lui è Federico Ferrini, l’assassino della prostituta Maria Venancio de Sousa, massacrata con una spranga lo scorso 26 agosto, nel suo pied-a-terre di via Della Robbia, zona di Santa Maria.

L’ultimo giorno di aprile avrebbe dovuto essere quello dell’udienza dal Gip, col rito abbreviato telematico, per omicidio, ma il processo è stato solo incardinato, come si dice in gergo, con la costituzione delle parti, comprese le parti civili dei parenti di Maria. La parte culminante, la più emozionale, è venuta dopo, quando l’avvocato difensore è passato dal carcere di San Benedetto e Ferrini gli ha consegnato lo scartafaccio, destinato ad essere depositato agli prima della prossima volta, il 7 maggio, quando dovrebbero esserci discussione, con la richiesta di pena, e sentenza.

Bene, ma cosa scrive Ferrini nel suo memoriale? Innanzitutto chiede scusa, esprime pentimento, conferma implicitamente la confessione che aveva già ripetuto in due occasioni: davanti alla polizia, quando andarono ad arrestarlo, e poi davanti al Gip Fabio Lombardo. Ho sbagliato, dice l’assassino, ho perso la testa, ho provocato un dolore di cui mi rammarico ai miei familiari, sorelle e fratello, e a quelli della mia vittima.

Perchè l’ho fatto? Perchè, risponde l’assassino, ho avuto paura. Non tanto del ricatto economico, perchè era chiaro che la cifra di 100 mila chiestami da Maria era un’iperbole, un momento di rabbia più che una minaccia vera, ma temevo che lei potesse rivelare a tutti la nostra relazione del passato. Già, perchè alle spalle del delitto (ma questo si sapeva) c’è una vecchia storia sentimentale. Federico l’aveva rotta già da un annetto, ma Maria lo pressava per tornare insieme e minacciava di andare a raccontare a tutti che lui frequentava lei e le prostitute.

Uno scambio di messaggi sulla chat di Whatsapp che ha spinto infine Ferrini al chiarimento finale, quella domenica d’agosto da lui passata fuori dalla porta di Maria, in attesa che lei finisse coi clienti e potessero parlare per capirsi una volta per tutte. Discussione poi degenerata in lite e nella rabbia cieca del delitto.

Non aveva calcolato, l’assassino, la potenza della tecnologia, le telecamere della vicina farmacia che ne avevano ripreso la targa dell’auto, il wifi della navigazione Internet del telefonino catturato proprio dalla cella di Santa Maria. Ulteriore conferma che lui era lì all’ora dell’omicidio, le tre della notte fra la domenica e il lunedì.

Cosa rischia adesso Ferrini in termini di condanna? Il Pm Chiara Pistolesi gli contesta l’omcidio volontario senza aggravanti pena base 21 anni, che in rito abbreviato diventano 14 (sconto di un terzo). L’avvocato Giannini spera di ottenere anche le attenuanti generiche, che significherebbero scendere a poco meno di dieci anni.

Si vedrà. Intanto c’è da registrare la novità del primo processo per omicidio in videoconferenza, causa Covid: il Gip Giulia Soldini, il Pm, gli avvocati in aula, l’assassino collegato dal carcere. Sarà così anche il 7. E’ il diritto penale dell’emergenza.