Arezzo, 18 febbraio 2022 - «La vita è mia, non dello Stato e così si torna al Medioevo». Non ci gira intorno Walter De Benedetto e dalla sua sedia a rotelle dove una rara e grave forma di artitre reumatoide lo ha ridotto, manifesta il disappunto per il no della Corte Costituzionale ai quesiti referendari sulla cannabis e sull’eutanasia. Walter sulla carrozzina ci sta da quando era un ragazzo e oggi che ha cinquant’anni riesce a gestire il dolore fisico grazie alla somministrazione della cannabis per uso terapeutico «secondo un dosaggio giornaliero stabilito dalla Asl».
Assume la sostanza attraverso un nebulizzatore anche se i suoi preferiti sono «i biscotti, li trovo imbattibili perché hanno un’azione immediata direttamente sui ricettori del dolore. Per me significa tanto poter assumere la cannabis, perché mi aiuta a gestire una condizione di sofferenza permanente e mi permette di rilassare i muscoli e poter riposare».
La vicenda del cinquantenne aretino, diventata un caso nazionale, è legata all’accusa di coltivazione illecita di cannabis in una serra vicino alla sua casa. De Benedetto ne produceva una quantità calibrata sul suo fabbisogno terapeutico e il processo a suo carico si chiuse con un’assoluzione nell’aprile di un anno fa. Quando ha letto i giornali «non potevo credere che la Costituzione sia stata calpestata così brutalmente.
Io mi sento tradito dallo Stato, perché quei signori prima di decidere sulla pelle delle persone dovrebbero mettersi nei miei panni e capire come si vive in queste condizioni e quanto una decisione del genere può impattare sulla vita di chi soffre». Nel suo caso, il no della Consulta, significa l’impossibilità di «poter coltivare la cannabis con l’aiuto di amici, secondo la varietà di erba più consona per i miei problemi e l’uso che mi è necessario.
E’ ipocrita bocciare un referendum che è uno strumento democratico attraverso il quale la gente si esprime, quando poi sottobanco la gente si fa le canne per divertimento e tutti lo sanno. Meglio fissare delle regole chiare e fare tutto alla luce del sole» incalza. Walter vive in una casa in campagna, alle porte di Arezzo, con una persona che l’assiste anche se lui ci tiene a fare da solo ciò che è possibile.
La sua dose di energia quotidiana la ricava dalla «bellezza della natura, dai profumi del bosco, dalle stagioni e dagli animali. Amo la vita ma il mio timore più grande è quello di finire, un giorno, attaccato a una macchina e di fronte a questa condanna, vorrei che si staccasse la spina». Condivide la battaglia dell’associazione Luca Coscioni della quale fa parte e ha già preparato il testamento biologico con le disposizioni in caso di incapacità di intendere e volere.
Dalla sua carrozzina continua a credere, e a ripetere, che «vale la pena di vivere anche se sei ridotto in uno stato di grave handicap. Impari a fare i conti con la sofferenza che non tutti sono in grado di affrontare, e ti concentri sulle cose che contano», ma sa già che «se io dovessi dipendere da una macchina, non sarebbe più vita.
Per questo sono favorevole all’eutanasia e non capisco come lo Stato da un lato bocci questa opportunità e dall’altro consenta l’accanimento terapeutico su persone in condizioni estreme». La sua passione è sempre stata l’addestramento di cani e per questo aveva studiato, fino a quando «questa maledetta patologia mi ha impedito di realizzare il mio progetto di vita»