Arezzo, 9 settembre 2018 - E’ PROPRIO il caso di dire sesso, droga e videotapes, quasi la parafrasi di un titolo famoso del cinema anni ’90. Gli ingredienti, in questa storia destinata a fare scalpore, ci sono tutti e tre: il sesso è quello che un commerciante di 47 anni avrebbe estorto alla figliastra di trenta, come lei stessa denuncia in una querela dettagliatissima di cui La Nazione è in grado di anticipare le parti essenziali, la droga l’hanno trovata i carabinieri in casa di lui quando sono andati a notificare il divieto di avvicinamento alla giovane nel frattempo emesso dal Gip, i videotapes, infine, sono quelli che lei ha girato col telefonino e in cui, secondo le indiscrezioni, vengono riprese scene esplicite della violenza sessuale.
Il tutto emerge a margine del processo per direttissima cui il patrigno è stato sottoposto venerdì mattina dopo la scoperta di parecchie decine di grammi di hashish, marijuana e, pare, anche cocaina. Per la legge è spaccio. Ma sarebbe uno dei tanti casi che si verificano ogni giorno e che ormai non fanno più notizia se non fosse per la storia che fa da retroscena, dipanatasi fra luglio e i primi di agosto, una ventina di giorni per cinque o sei episodi di abusi. Comincia tutto, ahinoi, dalla malattia genetica di lei, stando almeno al racconto, dettagliato e corredato da un ricco materiale filmato e di messaggini whatsapp, che la figliastra, difesa dall’avvocato Giacomo Chiuchini, ha fornito ai carabinieri. Il medico che la cura le prescrive un farmaco dagli effetti fastidiosi: provoca una sorta di coma temporaneo. Per questo la giovane decide di smettere. Ma gli stati di totale incoscienza continuano, come se qualcuno le somministrasse il medicinale a sua insaputa.
PEGGIO, la figliastra si risveglia in più di un’occasione con la sensazione palpabile che qualcuno abbia approfittato di lei. Sintomi che per una donna sono inequivocabili. I sospetti cadono subito sul patrigno, che quotidianamente frequenta casa sua per esserle vicino, dice lui, in questo momento difficile. Lei si confida col compagno dal quale ha avuto due figli. La decisione è quella di organizzare una trappola per venire a capo dei dubbi. La giovane sostituisce in boccetta il farmaco con semplice acqua. Poi finge di essere caduta in un altro coma temporaneo, ma solo dopo aver piazzato lo smartphone in modalità video e con la telecamera puntata. Il patrigno ci casca e convinto di poter sfogare i suoi istinti mentre lei è incosciente fa scivolare la mano dove mai dovrebbe arrivare. Il cellulare, intanto, riprende tutto.
I SOSPETTI insomma sono puntualmente confermati e la figliastra decide di allontanare quel padre a metà che ormai si è rivelato un molestatore. Presenta la sua querela ma lui non si arrende e la insegue nella sua fuga dall’orrore della violenza: le sgonfia le gomme, racconta lei sempre ai carabinieri, le installa un gps nel telefonino per rintracciarla dopo che è scappata da lui, la bersaglia di whatsapp che lei legge come una confessione: «Ok, ho sbagliato, ma l’ho fatto non mettermi il cappio al collo». Adesso la figliastra vive ancora nell’ansia e nella paura, nascosta perchè lui non possa rintracciarla. Il Pm Dioni, intanto, continua nelle sue indagini. Ha chiesto e ottenuto dal Gip Giampiero Borraccia il divieto che impone al patrigno di non avvicinarsi a meno di cento metri. Non ha proceduto con le manette, invece, perchè tecnicamente quello ripreso dallo smartphone non è uno stupro: lei si finge incosciente ma non lo è e non esprime mai esplicitamente un diniego alle attenzioni moleste di lui. Se però le cose sono andate come racconta la giovane, sono violenza sessuale gli episodi precedenti, quelli che sarebbero avvenuti con lei in stato di vera incoscienza. Questa storiaccia non finisce qui.