GAIA PAPI
Cronaca

"Baby gang? Così recuperiamo chi sbaglia"

Il neuropsichiatra Luccherino: "La pandemia non ha inciso: la colpa è di famiglie assenti. Servono educazione e lavori socialmente utili"

di Gaia Papi

La famiglia e la società. Secondo il dottor Luciano Luccherino, direttore dell’unità operativa di neuropsichiatria, a loro è imputabile il disagio che circola tra i giovani e che, anche nella nostra provincia, ha preso la forma di baby gang. All’indomani dell’arresto del rapper 23enne considerato capo di un gruppo di ragazzini e accusato di sopraffazione nei confronti di minorenni, picchiati, rapinati e minacciati, il dottor Luccherino ci spiega questo fenomeno.

"Non credo che la pandemia c’entri molto con il fenomeno; di baby gang si parla da prima del Covid. Credo che le radici siano più profonde. Sicuramente la società, nella quale, negli ultimi venti anni, il modello della famiglia è crollato. Si è abdicato al ruolo genitoriale, preferendo quello amicale. I genitori sono poco capaci a fornire modelli efficaci, a dare regole per indirizzare l’impulsività tipica del periodo adolescenziale. Si unisce il disagio sociale, la difficoltà di trovare un lavoro, le scarse prospettive in un mondo che però chiede sempre prestazioni maggiori".

Disagi che portano alla ricerca del gruppo...

"In un momento complesso come quello dell’adolescenza la creazione del gruppo è normale e fondamentale per la crescita, ovviamente quando i componenti giocano un ruolo paritario. Ma quando si creano modelli gerarchici nascono le baby gang. Il gruppo si trasforma in un branco, dove c’è un leader dominante, e gli altri impersonano il ruolo dei gregari, da cui partono condotte criminali, un modo per cercare un posto nel mondo".

Quali forme punitive mettere in atto?

"Non credo nella funzione educativa della galera, nonostante gli sforzi degli operatori. Sì ai lavori socialmente utili, ma non quelli che potrebbero portare a una disistima del ragazzo, sentimento che è già molto presente nei giovani che delinquono".

Un fenomeno che ha preso piede anche ad Arezzo...

"La microcriminalità è presente da sempre in città, chiunque sa quali sono le aree più a rischio. Ed è proprio la microcriminalità che nutre e si nutre delle baby gang. E poi c’è il crollo della morale. Si è persa l’attrazione per la politica, per la scuola, per il mondo del lavoro. Così solo l’appartenenza al gruppo dà la percezione di essere qualcuno".

Il disagio economico può influire?

"Certo, la nostra è una società che punta molto sullo status sociale; sei costretto a rincorrere sempre qualcosa, l’ultimo modello di scarpe, di telefonino. E ovviamente per far questo hai bisogno di denaro facile, un modo per riscattare la propria condizione sociale".

Il ruolo dei social?

"Questi ragazzi delinquono nella realtà, ma vivono la gloria in quella virtuale. Per loro è il numero dei like che rende la persona importante".

Come aiutarli e impedire il divampare del fenomeno?

"Andate a cercare i ragazzi per strada, indicate loro spazi fisici e mentali dove confrontarsi, attraverso la musica, l’arte, il teatro. Non si può pensare che siano loro a venire da noi. Dobbiamo intercettarli prima, e aiutarli ad incanalare la loro rabbia, le proprie paure. In città gli spazi ci sono ma forse dovrebbero essere più appetibili, più fruibili per i ragazzi. In questo senso il distretto, insieme al Comune, sta lavorando ad un progetto, perché i ragazzi lasciati a se stessi si perdono. Raccogliamoli prima che vengano raccolti dalla violenza".