FEDERICO D’ASCOLI
Cronaca

"Banca Etruria, ecco perché potevo fare di più"

Guerrini e il crac: "Avevamo perso la vocazione popolare ma io ero solo il numero tre. Nonostante l’assoluzione finora ho speso 600mila euro"

di Federico D’Ascoli

"La cosa che più mi ha fatto male in questi anni? Le chiamate di uno dei miei figli da Berlino dove vive per lavoro: “Babbo, mi spieghi cos’hai combinato?”, mi chiedeva con un tono che mi faceva sentire un delinquente. Sapevo che non lo pensava ma mentre gli spiegavo che non avevo nulla da temere mi tremava la voce e ricacciavo in gola i singhiozzi delle lacrime".

Giorgio Guerrini è probabilmente l’imputato più famoso del maxi processo Banca Etruria che si è concluso con le assoluzioni di massa in primo grado. Oltre al ruolo di vice presidente dell’istituto di credito aretino è stato a lungo titolare della Pasticceria Aretina, consigliere comunale, candidato alla Camera per l’Udc nel 2013, presidente di Confartigianato nazionale dal 2004 al 2012. Celebre il siparietto del 2005 con Silvio Berlusconi, all’epoca premier, fischiato sonoramente dall’assemblea degli artigiani per l’introduzione dell’Irap. Il Cavaliere salì sul palco e abbracciando Guerrini reagì stizzito: "Vado a lavorare anche per voi...".

Il patto, con Guerrini, è quello di non parlare di questioni processuali ancora aperte. Ma di cosa significhi passare dall’altare della ribalta nazionale alla polvere della richiesta di condanna a 5 anni e 4 mesi, fino all’assoluzione in primo grado.

Guerrini, qual è il primo ricordo dell’inchiesta?

"L’arrivo della guardia di finanza alle 5 di mattina. Mi hanno ribaltato casa e mi hanno sequestrato tutto: carte, computer, agende, cellulare. Mi è caduto il mondo addosso".

Come è cambiata la sua vita dopo quell’alba?

"Vede questo cellulare? Dietro c’è ancora attaccata l’etichetta del sequestro. Non l’ho mai cambiato perché è un ricordo che porterò con me finché funzionerà e poi lo conserverò per ricordare cosa ho passato. Fino al giorno precedente squillava ogni cinque minuti, ora mi chiamano solo i familiari, gli avvocati e pochi amici fidati. Almeno ho capito su chi posso contare davvero".

Si è dato qualche colpa per quello che è successo a Banca Etruria?

"Subito dopo la sentenza ho detto che le responsabilità vanno cercate altrove e che il fallimento è avvenuto in un momento in cui l’economia mondiale stava crollando. Ho una lunga storia di piccolo imprenditore e ho sempre detto che una banca popolare non può perdere la sua vocazione: quella di dare pochi soldi a tanti. Avevo notato che il credito era eccessivamente concentrato in poche mani, avrei potuto fare di più per far valere la mia posizione nel Cda. Ma ero il vice presidente non vicario e certe scelte non passavano da me. Di certo questa città non ha saputo né voluto difendere l’azienda più grande e importante che aveva".

L’assoluzione è il primo atto di una battaglia legale che potrebbe essere ancora lunga...

"Confido nel fatto che la sentenza di primo grado possa essere confermata. Posso soltanto dirle che in questi anni tra sanzioni, sequestri e avvocati questa storia mi è costata finora 600 mila euro, nonostante l’assoluzione. Prima dei sessant’anni non ero mai entrato in un’aula di giustizia: comunque vada sono in pace con la mia coscienza".