REDAZIONE AREZZO

Bancarotta Etruria, così Rigotti potè votare la defenestrazione di Faralli

Un vorticoso giro di finanziamenti concessi alla vigilia del Cda decisivo Il finanziere trentino riuscì a sanare la sua posizione e a partecipare

Alberto Rigotti

Arezzo, 24 gennaio 2020 - Buscar l’oriente per il ponente, diceva Cristoforo Colombo. E anche Alberto Rigotti seguì, secondo la ricostruzione dell’accusa, l’esempio dello scopritore dell’America, rimediando alla sua esposizione nei confronti della banca di cui era consigliere con un vorticoso giro di finanziamenti, apparentemente destinati ad altri e con altre finalità, ma in realtà finiti almeno parzialmente a lui.

Siamo alla vigilia del drammatico Cda di Etruria del 23 maggio 2009, quello nel quale c’era all’ordine del giorno la sfiducia, poi effettamente votata, nei confronti del vecchio padre-padrone Elio Faralli. Lo schieramento anti-presidente, tuttavia, ha un problema: il nono consigliere, quello decisivo, Rigotti appunto, ha uno sconfinamento che teoricamente gli impedisce di votare. Faralli, ancor lucido, se ne accorge, e convoca una seduta di consiglio per quella stessa mattina con all’ordine del giorno la decadenza del finanziere trentino. Ma, sorpresa, lo sconfinamento non c’è più.

Cosa è successo? Il 5 maggio, ricostruisce in aula il sottufficiale della Finanza che ha seguito questo filone, viene deciso un prestito da 4 milioni di Bpel in favore della società Pegasus, appartenente alla famiglia Galeazzi. Ufficialmente lo scopo è la realizzazione di un villaggio, Ponterosso, in Lombardia, in realtà quel progetto immobiliare è già compiuto.

Ecco, dunque, che il 20 maggio i soldi prendono invece la direzione di un’altra società la Cib 95, che vanta crediti nei confronti del finanziere trentino. Il 22 maggio la Cib 95 trattiene 2,5 milioni quale pegno sui debiti di Rigotti e invia 4 assegni circolari da 250 mila euro (un milione in tutto) all’Immobiliare King, controllata al cento per cento da Munus, a sua volta nelle mani di Abm Network, la capofila di Rigotti, che è anche la società esposta nei confronti di Etruria.

Ormai è quasi fatta, manca l’ultimo passaggio: il milione e 50 che arriva ad Abm e grazie al quale viene sanato lo sconfinamento di un milione e 200 mila. A questo punto Rigotti è di nuovo in pista, pronto per esprimere il voto decisivo nel cda che caccia Faralli in favore di Fornasari. Nell’ipotesi d’accusa, gli ispiratori di questo giro di denaro sono il finanziere trentino e l’ex Dg Luca Bronchi, che per l’operazione è già stato condannato per bancarotta.

Uno dei funzionari protagonisti dell’iter dice a chiare note, come riporta la sentenza del Gup Giampiero Borraccia, «che senza ingerenze dall’alto» l’operazione non avrebbe trovato accoglimento. Anche il collega racconta di telefonate dall’alto (l’imputato è Federico Baiocchi Di Silvestri) di fronte alle quali rimase «di stucco».