CLAUDIO
Cronaca

Benigni, simbolo della politica del Novecento. Il maestro del dialogo tra cattolici e comunisti

Per vent’anni assessore tra Provincia e Regione ha poi fondato il Centro Basaglia: è stato protagonista della chiusura dei manicomi

Per vent’anni assessore tra Provincia e Regione ha poi fondato il Centro Basaglia: è stato protagonista della chiusura dei manicomi

Per vent’anni assessore tra Provincia e Regione ha poi fondato il Centro Basaglia: è stato protagonista della chiusura dei manicomi

Repek

La storia di Bruno Benigni potrebbe essere liquidata brevemente: 20 anni da assessore di cui 10 in Provincia di Arezzo e altrettanti in Regione Toscana. Poi consulente a livello nazionale di Pds, Spi Cgil, Lega autonomie locali sui temi del sociale e della sanità. Infine fondatore del Centro Franco Basaglia di Arezzo. Maestro elementare, nato a Castiglion Fiorentino nel 1932 e morto nel 2015 nella stessa città. Tutto qui? No.

Ricordare la sua storia vuol dire viaggiare nella politica del Novecento. Lo ha fatto il Centro Basaglia promuovendo la pubblicazione del libro “Bruno Benigni, politico austero e visionario”, edito da Clichy di Firenze.

Nessuna nostalgia: il passato non torna. Soltanto spunti di riflessione su una politica che sbrigativamente è stata relegata in una soffitta polverosa.

Proviamo a capire perché Benigni e la sua politica sono finiti in questo modo.

Punto primo: la centralità dei silenziosi e degli invisibili. Lui e il collega di giunta, Italo Galastri, andarono a visitare il manicomio all’inizio degli anni Settanta. La decisione fu di chiudere quella struttura e di non costruirne un’altra per la quale la Provincia aveva già il finanziamento. Quel pezzo di umanità segregata non aveva alcun diritto: doveva solo essere separata dai normali e curata al meglio delle conoscenze della psichiatria.

Il manicomio fu chiuso e Benigni vinse quella sua prima battaglia. Ne iniziò altre, di nuovo in difesa di persone obbligate al silenzio e all’invisibilità: i detenuti negli ospedali psichiatrici giudiziari che sommavano due emarginazioni, quelle della prigione e del manicomio. Anni dopo avrebbe avuto ragione: chiusi anche gli Opg. Infine una battaglia che non ha mai vinto, quella per la salute dei detenuti nei normali istituti di pena. Queste persone sono state le priorità di Bruno Benigni. Ovvia la sua collocazione in soffitta. Oggi la politica è attenta a chi urla, a chi può avere accesso ai media, a chi rappresenta un potenziale elettorale, sia esso positivo o negativo.

La visione politica è roba da dinosauri. Quello che conta è seguire quella fredda macchina da guerra rappresentata da istituti di sondaggio, agenzie di comunicazione, social media manager e via modernizzando. Il mondo finisce con il voto di domani. Chiuse le urne, si penserà a quello successivo. Chi guarda lontano, inciampa nell’oggi.

Punto secondo: il valore degli ideali. Benigni guardava lontano perché aveva iniziato a fare politica seguendo i suoi valori e non alla ricerca di poltrone. Si era formato in una fase storica particolare e irripetibile, tra gli anni Sessanta e Settanta.

Suo maestro era stato Aldo Capitini all’Università di Perugia. Con lui aveva organizzato le marce per la pace, da lui aveva mutuato la rigorosità di un cattolicesimo austero e impegnato. A Capitini aveva aggiunto lo studio del marxismo e la militanza nel Pci. Era stato uno dei protagonisti del dialogo tra comunisti e cattolici. Pensava che gli ideali muovessero la storia e dovessero orientare la politica.

Punto terzo: l’etica della politica. Non voleva auto blu. Si muoveva in treno, quando i convogli per Firenze e per Roma viaggiavano lenti e con infinite fermate.

Le auto di servizio voleva guidarle lui per non impegnare gli autisti. Alla fine, per ragioni formali e burocratiche, fu costretto ad adattarsi. Nei primi anni pagava per sé e per chi era con lui i conti di bar e piccole trattorie. Buttava lo scontrino perché non chiedeva rimborsi. L’autista al quale fu costretto ad affidarsi per gli spostamenti, alla fine se ne accorse e da quel momento si fece carico lui del pagamento per poi portare lo scontrino in Regione.

Punto quarto: la salute è un diritto di tutti. E’ tra i padri, ideali e concreti, delle Case della salute. Da assessore regionale fu tra i protagonisti della chiusura dei piccoli e ormai inutili ospedali. Tra questi c’era anche quello del suo comune, Castiglion Fiorentino. Una scelta che gli alienò simpatie e voti. Ma la fece senza tentennamenti e proponendo una soluzione alternativa: la Casa della salute.

La sintesi. Benigni è stato teorizzatore e praticante del dialogo tra mondi che non comunicavano, cattolici e comunisti, ma oggi la politica e aggressività, certezza delle proprie idee, disprezzo di quelle degli altri, violenza verbale e, quando serve, fisica. Si è occupato degli invisibili e degli ultimi, ma oggi questi costano molto e rendono elettoralmente poco o niente. Perché investire tempo e risorse nelle persone, soprattutto se fragili e incapaci di arrivare sui giornali e sulle televisioni? Oggi è necessario occuparsi di grandi opere, dei processi intentati ai politici, della conservazione delle classi dirigenti, del piccolo ed esclusivo mondo frizzante, fresco e moderno della politica e degli affari. Benigni si era messo al servizio della politica e delle istituzioni, ma oggi il vero leader è quello che mette la politica e le istituzioni al suo servizio. Bruno Benigni, la soffitta, se l’è meritata proprio.