Salvatore Mannino
Cronaca

"Cacciato da casa e picchiato perché gay". Ma la mamma attacca: no, è un violento

Giacomo, 28 anni, si racconta in Tv e al giornale: lei urlava insulti omofobi («fai schifo), lo zio mi ha affrontato con una bombola. Gli avvocati dei suoi: ha un fine indagini per maltrattamenti

Le accuse di Giacomo

Le accuse di Giacomo

Arezzo, 23 aprile 2021 - Il suo è il racconto di un Incompreso perchè gay. Rifiutato dalla mamma e dallo zio (il fratello di lei) che gliene fanno di tutti colori: botte, computer distrutti, minacce, insulti omofobi, che urlati da una madre fanno ancora più male: «Sei un f..., mi fai schifo». Roba da far indignare chiunque, specie in questi tempi di polticamente corretto.

I familiari, però, per tramite dei loro avvocati, rigettano tutto: l’orientamento sessuale non c’entra, nessuno l’ha mai maltrattato perchè gli piacciono gli uomini, il vero problema è che lui è un violento che maltratta proprio la mamma. Una faida familiare fatta di denunce e controdenunce, un groviglio in cui è quasi impossibile distinguere le ragioni dai torti, le discriminazioni sessuali, tanto più odiose se vengono in famiglia, dai rancori dentro casa.

L’incendio lo appicca lui, con una serie di interviste alle Tv toscane, ultima quella di ieri mattina a Teletruria, nel corso del contenitore antimeridiano «Spunti e spuntini». Intervistato da Ilaria Vanni, Giacomo, 28 anni, neolaureato di Levane che davanti alle telecamere ci mette la faccia, è un fiume in piena.

La storia di Malika, la ragazza di Castelfiorentino buttata fuori di casa perchè gay, mi ha dato il coraggio di uscire allo scoperto. Tutto nasce, racconta, quando un paio di anni fa confessa alla madre la sua omosessualità. Lei si arrabbia e chiama in aiuto lo zio (il padre divorziato non sta più in casa). E lì comincia la sequela dei maltrattamenti, delle minacce, delle violenze: scappellotti, spintoni e botte dello zio, che a un certo punto avrebbe persino brandito contro di lui una bombola del gas.

«Lì ho avuto davvero paura per la mia vita, mi sono salvato proteggendomi con il braccio». Madre e zio vorrebbero costringerlo a tutti i costi ad abbandonare le amicizie maschili e a frequentare le ragazze. Finchè non si arriva alla scena madre, nell’ottobre scorso, quando, dice lui, torna a casa e non riesce a entrare perchè la mamma ha cambiato la serratura.

«Mi ha aiutato solo il babbo, se non ci fosse stato lui a offrirmi un tetto, adesso starei sotto i ponti, come Malika». Intervista strappalacrime e anche strappa-indignazione, nella quale però lui ammette che è stata la madre, come conferma a La Nazione, a denunciarlo per prima per maltrattamenti. Una beffa ulteriore, lascia intendere lui, assistito dall’avvocato Antonio Panella, la vittima trasformata in aguzzino.

E tuttavia, lo dice pure Giacomo solo per negare di averla mai toccata, ci sono i referti del pronto soccorso che parlano di lividi e di un piede rotto per la mamma. E’ da lì che bisogna ripartire per sentire l’altra metà della storia, vista dalla parte di lei e dei suoi avvocati, Rossella Angiolini, Francesca Tarchiani e Francesca Molino. Suffragata, dicono i legali, da un avviso di chiusura indagini del Pm Marco Dioni, con Giacomo indagato per maltrattamenti e lesioni.

E’ vero, spiega la madre, che l’ho buttato fuori di casa a ottobre cambiando le chiavi, ma solo perchè non ne potevo più delle sue violenze. Ormai avevo paura ad averlo vicino. Inutile aggiungere, a questo punto, che mamma e zio negano a loro volta ogni forma di maltrattamento nei confronti del ragazzo, tanto più per motivi di discriminazione sessuale.

Che fosse gay, dicono gli avvocati, la madre lo sapeva da almeno cinque anni e non ha mai detto niente. Deve curarsi non perchè omosessuale ma per come maltratta la mamma, pronti anche a pagargli lo psichiatra. Giacomo ovviamente ha controdenunciato, sempre per maltrattamenti. Ma, obiettano gli avvocati di lei, non ha testimoni.

E i testi della mamma chi sono? Solo il fratello, ovverosia lo zio che il ragazzo accusa di essere stato il suo aguzzino. Come a dire un groviglio di vipere nel quale è difficile orientarsi. Ci penseranno i giudici, se ci si arriverà, a distinguere i torti dalle ragioni. Resta una storia che è comunque una spia di disagio sociale. Un «Me too» in salsa valdarnese.