
Compie gli anni il più grande calciatore aretino di sempre: "Ho vissuto le stagioni più belle del calcio tra Italia e Spagna. Il nuovo stadio Comunale sarà una spinta importante per l’Arezzo".
Amedeo Carboni, tanti auguri: oggi finisce 60 anni. Da calciatore ha vinto praticamente tutto: Coppa delle Coppe, Coppa Uefa, Coppa Italia, due campionati spagnoli e una Coppa del Re. Ma partiamo dall’inizio, quando giocava in strada a Quarata e l’Arezzo lo ingaggiò nella squadra dei Pulcini...
"La passione per il calcio me l’ha trasmessa mio fratello Sergio, più grande di me di 16 anni che ha giocato da attaccante fino all’Interregionale. In tanti mi dicono che era il più forte della famiglia Carboni. Il merito è però dell’altro attaccante Guido, fu notato nel Ceciliano e finì in amaranto, nella squadra degli Allievi. Presero anche me, l’unico difensore della famiglia...".
Era la metà degli anni Settanta, che ricordo ha di quel periodo?
"Splendido, quando qualcuno mi chiede chi è stato il mio miglior allenatore dico quelli del settore giovanile: Lisi, Talusi, Duranti, Gori. Dei secondi padri più che dei tecnici. Ho fatto tutta la trafila: giocavo le partitelle d’allenamento contro la prima squadra di Angelillo e anche una presenza in Coppa Italia con l’Osimana sotto la neve: è l’unica partita ufficiale che ho giocato insieme a Guido. Poi mi notò Arrigo Sacchi che mi prese alla Primavera della Fiorentina, sono tornato all’Arezzo dove ho fatto un campionato in B da titolare".
La stagione 1984-85, quella della prima amichevole col Napoli di Maradona e della rovesciata dei sogni di Domenico Neri al Campobasso. Fu lei che fece ripartire l’azione dopo il rigore sbagliato da Menchino, andando a conquistare il calcio d’angolo...
"Ero troppo giovane e per quello non percepivo la delicatezza della situazione, ossia il rischio di retrocedere a causa dell’errore dal dischetto di un aretino vero come me. Parlando con Neri negli anni successivi ho realizzato davvero cosa gli era passato per la mente in quel minuto e mezzo".
Le sarà tornato in mente quando lei ha sbagliato un rigore in cui non c’era possibilità di riscattarsi: quello della finale di Champions League 2001 Bayern-Valencia a San Siro. Baggio dice che ancora sogna quello sbagliato nel 1994 nella finale mondiale di Pasadena. È così anche per lei?
"Sono ricordi che non si cancellano, anche se il tempo cura le ferite. Pensi che dopo quell’errore chiesi a Cúper di non schierarmi nelle restanti partite del campionato spagnolo. Ero completamente svuotato...".
In amaranto solo 22 presenze in serie B e poi una carriera che ha toccato i vertici internazionali. Qual è la squadra più forte in cui ha giocato?
"Difficile dirlo: ho giocato nel periodo migliore del calcio italiano e spagnolo, senza aver mai avuto un procuratore. Potrei dire la grande Sampdoria di Vialli e Mancini ma anche il più forte Valencia di tutti i tempi. Ma è alla Roma di cui sono stato anche capitano per due stagioni che forse ho vissuto le emozioni più intense".
Perché?
"Perché con la fascia al braccio, in quella città, può succederti di tutto: sono stato ricevuto in visita privata dal Papa e mi sono trovato a parlare di calcio alle 6 di mattina nello studio privato di Giulio Andreotti, tanto per fare un esempio".
Sul periodo alla Roma resta leggendaria la frase di Mazzone mentre lei si spingeva in attacco: “Amedè, ma con 350 presenze e 4 gol in serie A, ma ’ndo vai? Torna subito in difesa!”. È successo proprio così?
"Con Carletto il rapporto era splendido, un allenatore che sapeva gestire con intelligenza e ironia anche una piazza complicatissima come la Capitale. Mazzone mi disse davvero questa frase ma non durante la partita: successe al primo allenamento dopo una sconfitta. La cosa bella è che la settimana dopo segnai e andai ad abbracciarlo dicendogli: “Dov’è che non dovevo andare, mister?”".
Oggi dopo una breve esperienza da ds e da commentatore televisivo, costruisce stadi con la società spagnola Molcaworld. Anche quello dell’Arezzo?
"Con la società ci sono contatti avviati, credo che ci sia la ferma volontà di arrivare in fondo. Avere un nuovo Comunale con quelle caratteristiche può essere la svolta per riportare ad alti livelli il calcio amaranto".
Lei ha smesso nel 2006, a 41 anni compiuti ed è rimasto a vivere per anni in Spagna, tra Valencia e Barcellona. Poi la scelta di tornare nella sua città. Perché?
"Per tanti motivi, principalmente per l’avventura in cui mi sono gettato insieme a mio fratello Guido e a Luca Ghinassi con un centro sportivo alla Chiassa Superiore con una scuola calcio, i campi da padel e un ristorante. Ho cinque figli in giro per il mondo che ormai sono grandi. In Spagna si stava benissimo, ma casa è sempre casa".