
Carlo Verdone
Arezzo, 7 febbraio 2018 - E’ quasi una gara a chi è più funambolico: Tiberio Baroni, estroso avvocato difensore di Alessandro Albertoni, uno dei due imputati del processo di Martina, o Carlo Verdone, il mattatore del cinema italiano che lui ha citato come testimone in aula. Di macchiette del costume nazionale il popolare attore, regista e sceneggiatore nel corso della sua carriera ne ha costruite a decine, lui racconta che le studia quando va in farmacia, ma è difficile pensare che persino un maestro del paradosso e della comicità potesse immaginarsi nei panni di colui che si presenta in tribunale per raccontare di come ha costruito una delle scene più famose dei suoi tanti film, a difesa di un imputato che neppure conosce.
Eppure è proprio Verdone l’asso nella manica che Baroni tira fuori depositando la sua lista testi (ben 77) in vista del processo per la morte della studentessa genovese che comincia martedì. Cosa c’entra l’uomo di cinema romano col giallo di Martina, la tragedia di una ragazza che, nella ricostruzione della procura, è caduta dalla terrazza di un grande albergo di Palma di Maiorca, il 3 agosto 2011, per sfuggire a un tentativo di stupro dei due imputati (l’altro è Luca Vanneschi)?
Conviene citare direttamente quanto scrive Baroni. «Riferisca - spiega - sui fatti e le circostanze di cui al capo d’imputazione ed in particolare circa le ricerche svolte la scena del suicidio del personaggio Magda nel film ”Bianco rosso e Verdone».
E qui, prima ancora di qualsiasi giudizio di opportunità o congruità col processo, è subito caso. Perchè il personaggio di Magda (interpretato dall’attrice russa Irina Sanpiter, morta due giorni fa) non si uccide affatto, ma scappa dalle morbose attenzioni di un marito troppo pignolo. Una scena di suicidio c’è ma in un altro celebre film di Verdone, «Viaggi di nozze».
Lì un’altra donna vittima di un marito ossessivo, Veronica Pivetti-Fosca, si getta davvero di sotto ed è l’unica, pallida, somiglianza con il caso di Martina. Un effetto, tuttavia, l’avvocato di Albertoni l’ha già ottenuto: scatenare il sarcasmo e anche l’indignazione degli altri protagonisti del processo. Nessuno vuol parlare fra virgolette, ma l’accostamento fra un uomo di cinema brillante come Verdone, in una scena di umorismo macabro, e la tragedia di Martina viene giudicato al minimo di dubbio gusto.
Di sicuro, la citazione dell’attore-regista incontrerà l’opposizione di procura e parte civile, poi toccherà al collegio giudicante, presieduto da Angela Avila, stabilire se chiamare in aula l’erede di Alberto Sordi ha rilevanza per il processo.
Verdone è solo il più clamoroso dei testimoni citati da Baroni. Nella lista dei 77 ci sono anche, insieme ai protagonisti del mistero, giornalisti, politici e giudici come il Gip Massimo Cusatti, che a Genova disse no alla proroga delle intercettazioni, giudicando le prove dell’accusa insufficienti. Chiamati in causa anche l’ex prefetto Salvatore Montanaro, ora sindaco di Castiglion Fibocchi, e il parroco del paese, Don Adelmo Ralli: dovranno dire che Alessandro e Alberto sono da tutti considerati bravi ragazzi.