"Cavalier Vasari, che ne è del mio centenario?". L’amarezza del dimenticato messer Petrarca

Un dialogo immaginario tra i due grandi della storia aretina, uno celebrato e l’altro ignorato dal fugace capriccio dei posteri

"Cavalier Vasari, che ne è del mio centenario?". L’amarezza del dimenticato messer Petrarca

"Cavalier Vasari, che ne è del mio centenario?". L’amarezza del dimenticato messer Petrarca

Cinzia

Della Ciana

Petrarca versus Vasari, o del contendersi il primato di chi sia il più illustre Cittadino. Dicono siano stati avvistati in Arezzo, nei pressi del grande monumento del Prato, Giorgio Vasari e Francesco Petrarca. I nostri più illustri cittadini, per entrambi i quali ricorre nel 2024 l’anniversario della morte, pare siano stati sorpresi a discutere concitatamente. Una fonte che ha chiesto anonimato ci racconta di avere udito un antico parlare che di seguito riportiamo. Che si tratti solo di un dialogo immaginario?

Petrarca - Cavalier Giorgio Vasari, lasciate campo a quest’uomo che solo e pensoso va misurando a passi tardi e lenti il deserto in cui lo lasciarono le paterne genti.

Vasari - Messer Francesco Petrarca, perché mai gli atti vostri di allegrezza sono così spenti?

P - E me lo chiedete? Eppur monti, fiumi e selve sanno come dentro avvampi per l’oltraggio arrecatomi.

V - Ragionate come sono chiare e fresche le acque vostre.

P - Farollo. Io credetti per morte esser divenuto sacro all’universo delle arti letterarie. Ritenevo che nell’anniversario 650esimo della mia dipartita in questa Città la mia opera, che poi è la mia persona, fosse a buon garbo omaggiata.

V - Asserite dunque che nell’Anno Domini 2024 corre la ricorrenza del vostro 650esimo?

P - Con fermezza lo ribadisco e aggiungo che corre ancor la ricorrenza dei miei natali: fanno 720 anni che in via dell’Orto soavi echeggiarono i miei vagiti!

V - Questa mi suona nova… una doppietta simile non me la sarei persa, sarà mia cura controllar le date nelle carte dello mio trattato.

P - Bando all’ipocrisia, Vasari, in coscienza ben sapete che di me non avete trattato, né in genere avete considerato altre arti che non siano pittura, scultura e architettura!

V - Tacete, uomo del buio medioevo! Non sapete voi che le Americhe furono scoperte e che questo globo è ormai globale?

P - Certo che siete abile nel coniugare i tempi!

V - Niuno ingegno può ormai ardire di contenere in una "Storia" tutta la bellezza. Necessita andare per settori per ottenere il tutto.

P - E dove volete parare?

V - Alla meta: io ho inventato la "Storia dell’arte" e aperto la via ad altre direzioni.

P - Ignominia! Non v’è alibi per la trascuranza di me, Petrarca!

V - O che dite, se v’ho citato ne Le Vite a proposito del pittore Simone Martini che ritrasse in carte vostra Madonna Laura per far fede quaggiù del suo bel viso.

P - Sì, appunto per cagion di altri ho un misero interstizio nell’opera vostra.

V - Ingrato d’un poeta! E dire che mi sono prodigato nell’esaltare il fatto che i versi che dedicaste a quell’artista lo resero immortale più dei pennelli! E poi, poi vi ho con Dante, Boccaccio e Guido e altri ancora ritratto nell’olio dei sei poeti toscani eccelsi.

P - Non vi si può sentire! Non v’è e non vo’ comparazione!

V - Tacete, grazie a me oggi voi siete esposto a Minneapolis, proprio in quelle Americhe che segnarono l’era nova. E lì, con li passi vostri tardi e lenti, non ci sareste mai arrivato da solo.

P - Lasso! Fra quei pescatori infreddoliti avete osato allocarmi? L’arroganza non vi manca Giorgio mio, del resto questo carattere con evidenza è assai richiesto per coltivar con duratura durezza nei secoli la duranza.

V - Che intendete dire?

P - Che in questa Civita Aretina ovunque si celebrano le abilità del celeberrimo Giorgio Vasari. Ogni cantone canta per via del vostro 450esimo della morte.

V - È lo vero, ma è degnissima costumanza celebrare la nascita e la dipartita dei Grandi proprio ove questi ebbero i natali, e io modestamente grande lo fui. E per lo vero non solo Arezzo canta: lo mio nome si spande nell’anno di questa onorata ricorrenza da Roma a Fiorenza.

P - Dunque intendete oscurarmi? Siete voi Cavaliere che avete brigato per l’oblio a mio svantaggio acciocché il primato a voi spettasse? Pace non trovo e ho

dunque a chi far guerra?

V - Non c’è stato bisogno di brigare… siamo entrambi Aretini non v’è dubbio, ma solo per nascita, non certo per temperamento. I nostri concittadini hanno riconosciuto la schietta aretinità dello mio carattere e dunque lo mio primato. Per tal natural cagione essi m’hanno festeggiato, e ancor lo faranno per tutto il corrente anno.

P - Siete tracotante assai, Vasari. Pensate forse di esser voi di Arezzo il più illustre cittadino? Ma di che andate cianciando per quattro tele e qualche muro arcuato, e magari pensate pure di essere uno scrittore?

V - E voi allora per qualche canzonetta?

P - Sono 366 e una più bella dell’altra! Fareste meglio a rimanere nei ranghi del vostro casato, vasaio che non siete altro!

V - Sommo poco sommo d’un poeta, il lauro che vi cinge non meritate se ardite la mia opera degradare. Tenetelo a mente Messer Francesco Petrarca, io son Giorgio Vasari che in Arezzo non solo ebbe i natali, ma che per la sua Città grande si fece e grande la fece. Io per essa resto Cavaliere di Spron d’oro e qui si corre giostra dai tempi dell’Alighieri, mentre voi sdegnoso continuate ad agitarvi qua e là solo e pensoso. In Arezzo non avete lasciato stampo e dunque per le celebrazioni non v’è campo. Provate ad Arquà, o forse ad Avignone. Vale!