
Enrico Guidi con i suoi cani
Arezzo, 9 marzo 2021 - La storia, come sempre quando c’è di mezzo lui, il fuciliere di Montagna, quello che quasi due anni fa aveva sparato su un paio di conoscenti scambiati per carabinieri, è intricatissima. Di sicuro c’è solo che nella sua ennesima domenica di follia, Enrico Guidi, 45 anni, boscaiolo di mestiere, ha tentato di uccidersi, buttandosi dal terrazzo del secondo piano con una corda al collo, e che il padre Ferruccio è riuscito a salvarlo correndo su e tagliando il nastro da rotoballe al quale era appeso il figliolo. In extremis, poco prima che morisse asfissiato.
C’è poi l’antefatto raccontato dai carabinieri ma negato dall’avvocato della famiglia, Tiberio Baroni, che cioè qualche ora prima Enrico si fosse accanito sul babbo: una raffica di cazzotti e anche un paio di coltellate, una delle quali, dicono sempre gli uomini dell’Arma, alla gola, anche se non particolarmente grave. La difesa parla invece di «un raptus di follia autolesionistica» scatenato dalla decisione della corte d’appello di negargli l’autorizzazione a lavorare mentre era ancora agi arresti domiciliari.
Già, perchè Guidi junior è già stato condannato in due gradi di giudizio per il tentato omicidio di Basilica, un ciuffo di case nei pressi di Montagna, frazione di Sansepolcro, del 29 maggio 2019: sei anni in primo grado, con parziale riforma in appello, 4 anni e mezzo. E’ ancora agli arresti domiciliari, in custodia cautelare, in attesa del verdetto definitivo della cassazione,
Nella casa in cui al piano terra vivono i genitori e al primo la sorella che l’aveva accolto per scontare il periodo ai domiciliari. E’ l’abitazione teatro di questa nuova domenica di follia, a cento metri da quella in cui avvennero gli spari di due anni fa. I carabinieri vengono allertati dal 118 nel primo pomeriggio: c’è un’ambulanza già sul posto che sta soccorrendo Enrico, in condizioni critiche non solo per l’asfissia del tentativo di impiccagione, quasi da film western, ma anche per il volo dal secondo piano cui babbo Ferruccio ha dovuto sottoporlo quando ha tagliato la corda.
Detto in altre parole, Guidi junior si è messo il nastro da rotoballe al collo e si è lasciato andare dal terrazzo. Il padre l’ha visto penzolare ed è corso, trovandosi davanti a un drammatico dilemma: lasciarlo morire così oppure tentare il tutto per tutto, spezzare la corda e sperare in Dio per la caduta che inevitabilmente aspettava il figlio.
Lui ha preso il coraggio a due mani e ha tagliato. Enrico precipita giù battendo la test. Resta lì senza conoscenza, quelli dell’ambulanza lo vedono che rischia di morire e chiamano il Pegaso dell’elisoccorso regionale. Il quarantenne si riprende per un attimo ma lo caricano comunque in ospedale e lo portano in volo a Careggi, dove è tuttora intubato. Ma pare fuori pericolo.
Mentre stanno ricostruendo l’accaduto, i carabinieri, guidati personalmente dal capitano Angiolo Bardi, comandante della compagnia di Sansepolcro, si imbattono in qualche riferimento a quanto accaduto qualche ora prima, cioè l’aggressione del figlio al padre che potrebbe essere anche all’origine del tentativo di suicidio. Ferruccio ha ancora il volto tumefatto dalle botte, raccontano i militari, più due ferite sotto la gola e all’addome.
Nessuno della famiglia, però, ha chiamato i soccorsi o avvertito i carabinieri. Si sono chiusi a riccio, subito come dopo, tanto che non risulta alcuna denuncia: un padre di cuore non abbandona mai il figlio. Baroni parla di una crisi innescata dal rifiuto della corte d’appello di concedere a Enrico il permesso di lavorare nonostante i domiciliari: «Era già stato un brutto colpo contro il quale abbiamo fatto ricorso al Riesame, quando lui ha saputo che l’udienza era fissata solo al 23 marzo ha perso la testa».
Del resto, racconta il legale, lui l’aveva già detto nella sua arringa in appello che poteva finire male, che Guidi aveva più bisogno di essere curato che non condannato. I fatti, almeno sul rischio incombente di questo quarantenne pericoloso per sè e gli altri, gli hanno dato ragione.