Mancheranno all’appello 500 lavoratori. Sono quelli che le imprese del territorio non riusciranno ad assumere nei primi tre mesi del del 2025. Si tratta di un calo del 7,2%. che fa di Arezzo la dodicesima provincia che accuserà di più il colpo della carenza di manodopera. Pochi candidati, pochi giovani e molti impreparati: è questa la diagnosi che fa la Cgia di Mestre sull’economia di nazionale che vede nella provincia il caso emblematico del paradosso.
Il paradosso è quello del miss match tra domanda e offerta di lavoro. Fuori dagli inglesismi significa che le aziende cercano lavoratori e i lavoratori cercano un’azienda ma che le due richieste non si incrociano. Chi cerca un’occupazione magari la vuole diversa o magari pretende un salario più alto; dall’altra parte chi cerca di assumere cerca profili più qualificati e magari non è disposto a pagare quanto necessario.
Problemi strutturali del paese ma che nel territorio di Arezzo assumono forse una forma più accentuata. La nostra è una provincia da cui i giovani scappano: se ne vanno, soprattutto, per studiare e spesso rimangono dove hanno conseguito la laurea. Là, nelle grandi città dove spesso le occasioni di lavoro abbondano e ci sono imprese che richiedono lavoratori qualificati. Scenario raro da trovare in terra d’Arezzo dove la maggior parte dei profili richiesti sono quelli di lavoratori a bassa scolarizzazione. Ma questo non significa che non debbano essere specializzati, anzi.
I profili ricercati sono ad estremamente qualificati dal punto di vista tecnico. E non si trovano. All’appello mancheranno oltre 500 lavoratori che le aziende vorrebbero assumere nei primi tre mesi dell’anno. Per questo le entrate saranno 6800 anziché le oltre 7300 di anno scorso. Un calo del 7,2% tra i peggiori dello stivale. Basti pensare che in tutta la penisola la flessione è marginale: -0,2%. E anche in Toscana è sotto il punto percentuale (-0,9%).
La causa del problema è principalmente una. I giovani sono sempre meno e la popolazione sta invecchiando: e questo è un problema che caratterizza tutto il Paese. Tra le province c’è però chi accusa di più e di meno l’inverno demografico: c’è chi riesce a stimolare la natalità con il welfare e chi riesce ad attrarre giovani investendo sul loro futuro, dal lavoro alla cultura. Tutto questo significa che anche i territori possono fare la loro parte.
L.A.