CLAUDIO SANTORI
Cronaca

Cerfone, storia e mito di un fiume magico. I bagni delle donne che cercavano un figlio ispirarono a Piero la Madonna del Parto

È un luogo speciale per la bellezza della sua natura rustica in Valtiberina ma è praticamente sconosciuto fuori da Arezzo. Un’antica tradizione vuole che le acque del torrente abbiano magici poteri, come quello di aiutare a concepire le donne.

È un luogo speciale per la bellezza della sua natura rustica in Valtiberina ma è praticamente sconosciuto fuori da Arezzo. Un’antica tradizione vuole che le acque del torrente abbiano magici poteri, come quello di aiutare a concepire le donne.

È un luogo speciale per la bellezza della sua natura rustica in Valtiberina ma è praticamente sconosciuto fuori da Arezzo. Un’antica tradizione vuole che le acque del torrente abbiano magici poteri, come quello di aiutare a concepire le donne.

Santori

In realtà sarebbe un torrente, ma lo chiamano fiume perché non si secca mai. Inizia poco prima di Palazzo del Pero dove confluiscono due rami più modesti: uno viene dalla parte di Badicroce e l’altro dalla parte del monte Corneta che è a 742 metri. Poi confluisce col Sovara poco dopo Monterchi, intorno a Mezzavia. Parliamo del Cerfone che riceve lungo tutto il tragitto dai monti di destra parecchi corsi d’acqua minori, l’ultimo dei quali, quello più importante, viene dalla Badia di San Veriano che si trova poco prima di Monterchi. È un luogo quasi magico nella bellezza della sua natura rustica, ma per quanto sia citato in lavori di vari studiosi, è praticamente sconosciuto.

Un’antica tradizione vuole che le acque del Cerfone abbiano magici poteri, come quello di aiutare a concepire le donne che vi si bagnano: una leggenda gentile e suggestiva dietro la quale c’è però molto più di quanto si possa immaginare. Andiamo con ordine e vediamo cosa nasconde, proveniente dagli abissi del tempo, questa valle emarginata che è stata nei secoli il confine fra due Italie: quella longobarda e quella bizantina, ed è stata abitata da un’umanità dolente che si è arrabattata per secoli nell’attrito con la vita quotidiana.

Scopriamo così che il toponimo Cerfone risale al dio umbro Cerfo (da pronunziare Kerfo), propiziatorio della fecondità, della prosperità e soprattutto della crescita. Si perché la radice cer- (da leggersi ker-) è connessa col verbo latino "cresco" nel quale si presenta peraltro nella forma cre- (un fenomeno di trasposizione delle consonanti che si chiama metatesi). Ma una radice indeuropea si può presentare con la "e", ker- (grado detto normale) o con la "o", kor- (grado detto forte) ed ecco che troviamo questa radice in "cornus", il corno che è connesso col crescere: pensiamo a "cervus", da leggersi naturalmente kervus: la crescita del cervo è testimoniata infatti dal crescere del palco delle corna.

Ed ecco che la valle del Cerfone è una zona ossessionata dalla fecondità, dal nascere, crescere e svilupparsi. Una zona votata alla protezione della gestante, donde la citata leggenda: nella cultura agropastorale pagana la fecondità è stata per secoli il centro dell’attenzione.

Il mondo cristiano, come ha costruito chiese paleocristiane e pievi sopra le fondamenta e i ruderi di templi pagani, così ha assorbito ed inglobato nella propria simbologia i valori magici precristiani. La stessa nascita di Cristo è stata riportata al 25 dicembre che era la festa dell’"ortus Invicti Solis", la nascita dell’Invitto Sole.

Non è un caso, dunque, che Piero della Francesca abbia fatto, tra il 1455 e il 1465, in una zona dedicata al culto delle acque e della crescita proprio una Madonna partoriente: è tutto collegato con un’antica divinità protettrice della crescita tramite l’acqua. Oltre tutto si attribuiva alla saliva della gestante un valore apotropaico, cioè di allontanamento della malia e dell’invidia. Ma c’è di più. A Palazzo del Pero (probabile esito di un Palazzo di Piero: il pero non c’entra per niente) c’è la Pieve "in plano Maiani Cerfonis", una bella chiesa intitolata a san Donnino, a suo tempo studiata da Mario Salmi, la cui abside esterna risale all’XI secolo, mentre il fianco sinistro è trecentesco.

Nella chiesa sono contenute due Madonne: una è una scultura lignea quattrocentesca mentre l’altra è un affresco della fine del Trecento. Quest’ultima (detta anche Madonna della Fornace per via di una fornace che sorgeva nei pressi) è nota come Madonna del Latte perché rappresentata in atto di allattare il bambino: riveste pertanto un’importanza enorme sotto il profilo artistico, ma soprattutto per il legame con la caratteristica di fondo che abbiamo illustrato. Tutta la zona del Cerfone è interessata a queste Madonne cosiddette galattofore perché connesse con la protezione della gestante e del bambino. Tali sono anche la Madonna che era nella chiesa di Scandolaia (ed è stata collocata nella chiesa di Le Ville dopo il restauro del 1998), e la Madonna di Pieve a Ranco: benché non siano propriamente Madonne allattanti, fanno parte di questa strategia del trasferimento del culto delle acque salutari alla Madonna nella versione cristiana.

Tutta la valle è interessata a questa realtà. Era una zona povera, emarginata: dal saggio "La valle del Cerfone" di don Silvano Pieri è venuta fuori una storia di arrabattamenti, di sofferenza, di lavoro ingrato, di sopravvivenza. Naturalmente a terzo millennio iniziato anche in questa zona si nota una cesura rispetto al passato: ormai non siamo più in un’economia di sopravvivenza, il benessere è arrivato anche qui ed è chiaro che cambiando le condizioni socioeconomiche certe tradizioni antiche tendono a sfumare e a perdersi: queste immagini sono apprezzate anche oggi a livello ecclesiale, ma ovviamente in maniera diversa.

La Madonna del Latte. per esempio, viene valorizzata particolarmente la prima domenica di febbraio quando la Chiesa celebra la giornata nazionale per la vita. Si cerca di dare una continuità ai valori del passato, senza fare dell’archeologismo.

Zona povera ed emarginata, si diceva. Caratteristica è una casa che si trova all’Intoppo: risalente al ’500, è oggi un mulino ad acqua ancora funzionante, davanti al quale passava la ferrovia per Fossato di Vico.

Vi si notano degli strani buchi che don Pieri chiama "buchi di sopravvivenza": se qualcuno nelle notti buie si aggirava nei dintorni, prima usciva dal buco la canna del fucile e poi si domandava: "Chi è?".