"Sotto quattro dita è carpaccio", si dice da queste parti. La carne chianina è la compagna perfetta della bistecca fiorentina: sette centimetri di lombata di vitellone da grigliare cinque minuti per lato più uno sull’osso. Il monumento della cucina toscana che potrebbe perdere un pezzo, il più gustoso.
Il gigante bianco della Valdichiana rischia infatti l’estinzione, vittima di tendenze salutiste e consumo di carne in picchiata.
"Le stalle sono piene, decine di aziende, soprattutto di piccole dimensioni, sono a rischio", denuncia la presidente di Cia Arezzo Serena Stefani.
"La verità è che l’allevamento di razza chianina non è più sostenibile. La gestione è complessa e costosa: calano i capi e l’emorragia di aziende è forte nelle aree marginali, dove rappresentano anche un elemento di presidio sociale" continua Stefani.
La chianina serviva per lavorare i campi, prima dell’avvento delle macchine agricole: oggi è una carne magra, ricca di ferro e con pochissimo colesterolo. Caratteristiche per cui dovrebbe essere in ogni tavola e invece c’è da gestire il crollo delle richieste da parte di grande distribuzione e macellerie.
"La chianina ha raggiunto un prezzo in linea con le altre razze ma l’affermazione di alcune logiche commerciali ha svilito il prodotto. Pensate che basta appena il 20 per cento di questa carne, per fare un hamburger di chianina – conclude la presidente Stefani – è evidente la necessità di tutelare il prodotto valorizzando il legame che unisce razza, territorio e certificazione Igp. Una filiera di qualità, dall’allevatore al consumatore".
La produzione di carne bovina in Italia corrisponde al 50 per cento del fabbisogno. Il grado di produzione interna sale poi al 74 per cento se consideriamo anche i capi importati fino a sei mesi in allevamento. Un mercato sempre più piccolo in cui la chianina rischia di sparire.
Federico D’Ascoli