PIER LUDOVICO
Cronaca

Chimera, quella parte dell’opera mai ritrovata Bellerofonte è ancora nascosto sotto terra?

Con il capolavoro la città ne ha perso i significati: l’uccisione del mostro e quindi delle paure dell’uomo primitivo all’ingresso nella civiltà

Chimera, quella parte dell’opera mai ritrovata  Bellerofonte è ancora nascosto sotto terra?

Chimera, quella parte dell’opera mai ritrovata Bellerofonte è ancora nascosto sotto terra?

Pier Ludovico

Rupi

A Roma, ad ogni bancarella, con quattro soldi si compra la copia della lupa; a Firenze, del David; ad Atene, della Venere; al Cairo, della Sfinge e a Pisa della Torre; a Pechino, di Draghi colorati; a Città del Messico, vasetti Atzechi; a Parigi, riproduzioni della torre Eiffel; a Milano, il Duomo e a Venezia la gondola. La Chimera e i vasi corallini sono i paradigmi identificativi della storia della città. Nel 1960, ad Arezzo, in via Garibaldi, esisteva ancora un laboratorio di riproduzione dei vasi corallini etruschi, con bassorilievi, tra i quali quelli con le posizioni dell’amore, tutto sommato casti e facilmente commerciabili. Chiusa questa attività, non è stata ripresa da nessuno; ma sicuramente da qualche parte si trovano gli stampi, se le copie di questi vasi si possono oggi ammirare a Firenze in via dei Fossi, nella vetrina di una azienda di antiche riproduzioni, la stessa che realizzò le prime due Chimere di piazza Stazione.

Ad Arezzo è mancato l’abbinamento tra questi simboli identificativi della storia della città e il commercio e il turismo, se un aretino vuol procurarsi la copia di un vaso corallino o della Chimera deve rivolgersi a Firenze. In passato Arezzo non ha attribuito particolare valore a queste testimonianze della sua storia. E per proprio simbolo, invece della Chimera, il Comune scelse il cavallo. Con lo stesso spirito rinunciatario della propria identità di quando, intendendo dedicare una piazza a chi aveva reso la musica trasmissibile nel tempo, la intitolò a Guido Monaco, invece che a Guido d’Arezzo, come l’inventore delle note musicali è menzionato nella strada di Roma, o di Milano, o nelle enciclopedie.

Oggi, invece, sono numerose le recenti attività aretine che hanno scelto la Chimera nel nome, o nel logo, e non risulta che alcuna abbia scelto il cavallo. Sicuramente ha contribuito ad offuscare la caratura della Chimera l’accezione assunta comunemente di illusione, miraggio, fantasticheria. Anche se il racconto del mito è abbastanza noto, ne scrissero Omero, Eraclito, Esiodo e Pindaro e i romani Lucrezio, Virgilio ed Ovidio: ma essi erano immersi nel loro mondo e non avevano gli strumenti culturali per approfondire i significati sottesi ai miti.

Da parte sua, Arezzo si è perso nella lamentazione del destino fiorentino della nostra Chimera e non ha promosso incontri, convegni, studi sul suo significato originario, soprattutto in relazione all’intero complesso, di Bellerofonte sul cavallo alato che uccide la Chimera.

Così è mancato l’approfondimento del senso primordiale che ha originato il mito, la memoria, nata nella notte dei tempi, riflesso di antichi avvenimenti, adombrati con linguaggio simbolicodivenuta leggenda. E la Chimera di Arezzo è rimasta un oggetto misterioso. Questo approfondimento può oggi condursi avvalendoci della ala semiologia (lettura simbolica).

L’uomo primitivo che vive in un mondo ostile, patisce i mali della vita in modo ferino e li teme come mostri oscuri e incomprensibili (il fuoco del vulcano e del fulmine, la notte, il dolore, la malattia, la morte); e comincia a strutturare l’immagine dell’insieme dei mali con una metafora zoomorfa di una bestia mostruosa, insieme leone (terrestre), capra (nel mondo antico, è un segno ipogeo), serpente-drago (aereo), condensazione inconscia della totalità di ogni male, simbolo ancestrale del concetto di angoscia. Ma Bellerofonte, eroe solare, simbolo dell’io, della coscienza vigile, uccide il mostro e sconfigge la paura.

Ma per uccidere il mostro l’uomo deve salire in alto, elevarsi nell’universo dello spirito, nella comprensione profonda di sé e del proprio destino. E a questo servirà il cavallo alato, rappresentazione di spiritualità, donatogli da Athena. E’ la metafora della luce dello spirito, che, con la civiltà, irrompe nel mondo oscuro e incomprensibile dell’uomo primitivo; e, aiutandolo a comprendere gli eventi e la loro successione, gli consente di sconfiggere la paura.

La Chimera di Arezzo è il mostro terribile che rappresenta le angosce dell’uomo, matrice di tutti i mostri rappresentati nelle culture successive, dalla Sfinge all’Idra, dalla Gorgona al Cerbero, dal Drago alle Arpie. Il mito di Bellerofonte che uccide la Chimera si ritrova nella iconografia cristiana, con San Giorgio a cavallo che, con l’aiuto divino rappresentato dall’aureola, uccide il drago, incarnazione del demonio, nuova icona di tutti i mali del mondo.

A Parigi, la Niche di Samotracia, a Firenze il David richiamano folle di visitatori. Ma anche dinanzi a queste famose sculture, la Chimera emerge come monumento di eccezionale interesse per la sua epoca antichissima (quinto secolo avanti Cristo), per l’eccezionale espressività artistica, per la peculiarità del significato. Ma per far emergere quest’ultima valenza occorre che la Chimera sia presentata in un proprio spazio museale, nella compiutezza dell’intero complesso (con Bellerofonte sul cavallo alato), avvalendosi di un completo corredo di copie delle antiche rappresentazioni pittoriche.

La Chimera fu ritrovata un giorno del novembre 1553 presso Porta San Lorentino. Qui, probabilmente, giace, ancora interrata, la parte mancante, Bellerofonte sul cavallo alato. La ferita sanguinante scolpita sul costato destro del mostro attesta che la scultura rinvenuta era parte di un intero complesso.

Arezzo, dopo essersi disinteressata a lungo della Chimera, nascondendola nell’abbandono delle due vasche dismesse, solo recentemente ha iniziato ad occuparsene, soprattutto con la direttrice del museo’ archeologico, Maria Gatto, che ne ha avviato lo studio e realizzato una interessante realizzazione in 3D

Che la Chimera sia un monumento straordinario se ne è accorto anche il sindaco di Firenze, che, quando ricevette in Palazzo Vecchio il futuro Re Carlo III d’Inghilterra, fece portare nel Salone dei 500 solo la Chimera; installata su un baldacchino, un metro sopra il pavimento. Ma così si vide che a Firenze non conoscevano nulla della chimera, che rappresenta un mostro ferito, soccombente, sovrastato da Bellerofonte che la colpisce dall’alto: non andava proposta alla vista dal basso verso l’alto.