Arezzo, 23 aprile 2020 - Racconta chi ha avuto modo di vederlo, in ospedale dove è rimasto fino a ieri pomeriggio, quando è stato trasferito nel carcere fiorentino di Sollicciano, che il babbo assassino sia chiuso in un silenzio catatonico, sotto shock, incapace di spiegare quello che è successo, come uno che vede dall’esterno una tragedia di cui non si rende conto.E stamani il padre è stato riportato in ospedale, a Firenze: in cella ha avuto una nuova crisi depressiva, tale da renderne necessario il ricovero.
Da quando è stato ripescato nel pozzo dietro casa in cui aveva cercato di suicidarsi, Billal Miah, 39 anni, bengalese, operaio orafo in cassa integrazione da Covid, ha dormito quasi sempre e non ha voluto parlare con nessuno. Nè con i medici, nè con gli infermieri, nè tantomeno con i carabinieri, che peraltro non potrebbero interrogarlo, come il Pm Laura Taddei cui è affidata l’inchiesta, se non in presenza dell’avvocato d’ufficio che gli è stato nominato, Nicola Detti, che era stato il difensore di parte civile del marito Mirko nel processo per un altro delitto, quello contro Padre Graziano per l’uccisione di Guerrina.
Comunque, dalle prime indagini dei carabinieri, che hanno cominciato a sentire gli amici, i connazionali, i conoscenti, i vicini, ma sopratuttto la moglie e il figlio scampato alla mattanza, sembra profilarsi la conferma dello scenario emerso da subito.
Quello cioè di un delitto della disperazione, dell’esasperazione, della depressione da virus, da cassa integrazione, da paura di non riuscire più a mantenere la famiglia con la chiusura provvisoria della piccola azienda orafa per cui lavoravae, gestita da un connazionale, uno dei tanti bengalesi che in quell’angolo di Valdarno aretino hanno fatto il salto da dipendenti a padroncini. Billal aveva vissuto male questi giorni sospesi, dicono tutti, aveva anche dovuto consultare un medico, spinto dalla moglie, che gli aveva prescritto dei tranquillanti.
Non sono bastati a evitare l’esplosione Drammatica,soprattutto, la testimonianza del figlio che si è salvato: ha aggredito prima me e poi la bambina, col coltellaccio, io sono riuscito a scappare, mia sorella non poteva farcela. Il suo racconto accredita l’ipotesi del raptus: «Ci ha colpiti all’improvviso, non c’era stato un capriccio nostro che potesse scatenare tanta rabbia. Con la testa insanguinata per le coltellate di striscio, sono scappato urlando e mi sono fatto aprire la porta dai vicini».
La moglie parla di una depressione che era cresciuta a dismisura nelle ultime settimane senza lavoro. Ma questo poco importa, sia nella ricostruzione dei fatti sia nel rilievo penale: l’accusa, qualsiasi sia il momento in cui Billal si è spogliato per gettarsi nudo nel pozzo, resta quella di omicidio volontarioe tentato omicidio, aggravati dal grado di parentela e dalla minorata di difesa della bambina e del fratello.
Capo di imputazione da ergastolo anche in rito abbreviato, pur se una via d’uscita resta la perizia di infermità mentale. Quanto alla moglie, si trova adesso di fronte a un dilemma drammatico: ripudiare il marito che le ha ammazzato una figlia e cercato di far lo stesso con l’altro oppure scegliere la via della pietà per lo stato di follia in cui il marito deve essersi trovato per fare quello che ha fatto.
Un dubbio che va a scavare nei recessi più nascosti dell’animo umano. Infine l’inevitabile contorno di ogni delitto. Oggi l’autopsia su Natia (l’abbreviativo del nome di Jannatun), anche se il primo esame esterno svolto subito dal professor Gabbrielli sembra confermare la morte per le ferite del coltellaccio bengalese.
Entro sabato l’udienza di convalida dell’arresto, che potrebbe svolgersi, a conferma dell’emergenza Covid, per via telematica. Billal dal carcere di Sollicciano, il Gip Fabio Lombardo da Palazzo di giustizia. Una procedura da virus per il delitto del virus.