Arezzo, 9 maggio 2020 - Avrebbe dovuto essere un «bazooka» da 400 miliardi, due dei quali (è una stima ovvviamente) solo qui, finora sono arrivati soltanto gli spiccioli. Parliamo ovviamente del decreto-liquidità del 10 aprile, che doveva irrigare di finanziamenti le imprese, piccole, medie e grandi, e che invece è ancora con i rubinetti quasi chiusi. La prova più evidente viene dai microcrediti, quelli fino a 25 mila euro per le partite Iva, i commercianti, le aziende artigiane.
Avrebbero dovuto essere pressochè automatici, garantiti al cento per cento dallo stato, fatti apposta per consentire una ripartenza veloce, in realtà si stanno arenando in una marea di pratiche cartecee e di burocrazia pervasiva.
Di numeri non ce ne sono molti (al di là del clima di generale malumore facilmente percepibile tra gli imprenditori interessati) se non le stime che fa Fabio Faltoni, segretario provinciale della Fabi, il sindacato autonomo dei bancari: 400-450 richieste già istruite presso il fondo di garanzia su un totale di domande che dovrebbe aggirarsi intorno alle 1200-1400.
Più o meno dunque il 30 per cento. Le cifre che fornisce Edi Anasetti, direttrice di Cna, sono ancora più modeste: 400 proposte (con una platea potenziale che però va oltre il migliaio) trattate dalla sua associazione in tutta la provincia, delle quali solo il 20 per cento è giunto fino alla fatidica fase dell’erogazione dei finanziamenti da parte delle banche.
E’ anche una giungla, aggiungono da Cna, nella quale si va dal prestito a tasso zero in 36 mesi a quello al 2 per cento in 72. Servirebbe sì il tasso zero, ma con dieci anni per la restituzione. Ci sono poi i dati che per Ubi Banca mette in campo il direttore di macro-area (l’Italia centrale) Christian Fumagalli: 8 mila domande per i 25 mila euro (ma è impossibile isolare i dati aretini) e domande per i finanziamenti più grossi, quelli garantiti da Sace, in crescita.
Un meccanismo semispiaggiato. Colpa delle banche cattive? Conviene andarci piano. In realtà, anche per i microprestiti è stata sì attivata la copertura statale ma senza abrogazione o deroga alla normativa precedente che prevede la verifica della solvibilità del cliente. Il merito creditizio, cacciato dalla porta, rientra insomma dalla finestra. Perchè il direttore di filiale o il comitato crediti che dovesse concedere un fido senza adeguate garanzie, come pure direbbe la lettera del decreto, rischierebbe in caso di default dell’azienda di trovarsi invischiato in un’accusa di bancarotta fraudolenta.
Ecco perchè ancora Faltoni mette le mani avanti: «Noi bancari siamo già stati scottati dal caso dei bond Etruria per i quali molti direttori e dipendenti sono finiti a processo. Abbiamo gà dato, quindi, e non vorremmo fare ancora da cavie». In realtà, come dicono un po’ tutti, basterebbe un articolino aggiuntivo al decreto: in deroga alle regole precedenti al virus. Ma nessuno ancora l’ha scritto.
A rilento anche i finanziamenti intermedi, quelli fino a 5 milioni cui è particolarmente interessato un tessuto imprenditoriale come quello aretino. Le banche di sistema, spiegano da Confindustria, cioè Ubi, Intesa-Cassa di Risparmio, Unicredit e Mps, sono state brave e rapide nell’attrezzarsi coi prestiti ponte, in attesa di quelli coperti dallo stato,e a un tasso interessante, ma anche lì vale le regola del rating: chi lo ha alto va veloce, chi lo ha più basso fa fatica. La liquidità, intanto, arriva col contagocce, i finanziamenti in pochi giorni solo una pia speranza.