CLAUDIO
Cronaca

Dai monaci di Montecassino ai giorni nostri Campoleone ha una storia lunga mille anni

Lì dove ora sorge un relais di lusso le stagioni di una vita: le tracce del castello, i saccheggi del ’500, i primi segni della Biblioteca Vaticana

Dai monaci di Montecassino ai giorni nostri Campoleone ha una storia lunga mille anni

Claudio

Santori

Il Relais Badia Di Campoleone è il gioiello di punta dell’ospitalità mondana che offre Capolona, in un ambiente incantevole, sulle pendici del Pratomagno, a pochi minuti dalla famosa Pieve di Sietina, altro orgoglio del paese sull’opposto fronte della più severa e suggestiva spiritualità. Ed è la prova di cosa possa diventare un centro di aggregazione spirituale, nel succedersi dei secoli. Appunto, perché il modernissimo hotel ha una storia che affonda le sue radici negli abissi del tempo fino all’Abbazia di San Gennaro a Campoleone (Campus Leonis da cui “Capolona”) risalente al 972, portata avanti da monaci benedettini provenienti da Montecassino e pienamente operante fra il X e il XII secolo con possedimenti in tutto il Casentino e in Umbria.

La fascinosa storia di questa istituzione, quasi leggendaria, è stata raccontata in modo esaustivo, nella “Giornata di Studio sulla Badia di San Gennaro”, progettata a suo tempo dal sindaco di Capolona Alberto Ciolfi e realizzata dal suo successore, Mario Francesconi, con la collaborazione della Deputazione di Storia Patria per la Toscana e dalla Società Storica Aretina, rappresentate da Paola Benigni e da Luca Berti.

Stanno per uscire – col patrocinio del Consiglio Regionale, della Provincia e della Diocesi – gli atti del convegno che ha visto succedersi nella “cattedra”, allestita appunto nel Relais gestito oggi dalla famiglia Salvadori che ne è anche proprietaria, noti studiosi di varie discipline, tra cui storici del calibro di Jean Pierre Delumeau e Gian Paolo Scharf.

Ripercorrere la storia di questo sito è un viaggio avvincente. Dalle tracce oggi appena percepibili delle caratteristiche architettoniche della chiesa, del castello e del monastero all’inevitabile conflitto col Comune di Arezzo con relativo inurbamento dei monaci e delle loro attività.

Dalla trasformazione "à guisa di Villa delitiosa" al rovinoso saccheggio perpetrato nel 1527 dall’esercito imperiale in viaggio verso Roma. Dalla gestione commendatizia degli umanisti Giovanni Tortelli e Leonardo Dati, che ne risollevarono le sorti, alla gestione in enfiteusi delle famiglie Bacci e De Giudici che provvidero all’abbellimento della villa con ampie ristrutturazioni, nonché alla sistemazione e gestione delle proprietà immobiliari.

Dal definitivo stato di degrado e abbandono a seguito della morte delle ultime proprietarie, Marianna Albergotti de Giudici, moglie del marchese Giuseppe Persichetti, e della di lei figlia, Elena Fausta, coniugata Cardelli, fino alla cessione, nel 1999, alla famiglia Salvadori che ne ha promosso la “resurrezione” nell’attuale relais.

Scopriamo, leggendo il libro tanti particolari che vanno dal dato storico di importanza capitale alla semplice curiosità. Scopriamo così il valore della gestione di Tortelli. Stretto collaboratore del papa Niccolò V, si diede, fra le altre cose, a fare incetta di codici greci e latini che servirono poi ad iniziare la Biblioteca Vaticana.

Di più: la villa è connessa in qualche modo al famoso "Certame coronario" così denominato e promosso da Giovan Battista Alberti e finanziato da Piero di Cosimo de’ Medici. Era una pubblica gara di poesia sul tema "La vera amicizia" che doveva dimostrare la capacità del volgare toscano di veicolare i più elevati argomenti filosofici e letterari. Fra gli otto letterati e poeti partecipanti alla gara si distinse Dati che riproducendo il ritmo dell’esametro e della strofa saffica venne ad essere il primo in assoluto a scrivere poesia in metrica “barbara”. Dal “buen retiro” della Badia di Campo Leone si diffuse, insomma, il magnanimo proposito di “rifondare su basi umanistiche la lingua e la letteratura italiana”.

Tracce di questo incredibile passato sono ancora evidenti nella villa odierna dove sei lapidi nella nuova cappella ne "raccontano" la storia e dove si possono ammirare le pitture interne (nella finta grotta già creata al tempo della gestione dei Della Stufa e nella stanza dipinta "a bosco"), gli stucchi, e, fuori, il giardino, il grande scalone d’ingresso e il lucernario.

Una lunga e fascinosa parabola, insomma, che ha fra i suoi protagonisti anche le donne con ruolo di primo piano: per esempio la trasformazione della villa in fattoria e la conversione dell’enfiteusi in pieno diritto di proprietà si debbono ad una donna di grande levatura, Faustina Albergotti de Giudici.

Una curiosità: fra i reperti archeologici spicca la campana (oggi proprietà Cardelli-Puglisi), uscita nel 1351 dalla fonderia di Nerio e Ristoro, fratelli e figli di Iacomuzzo, detto "Campanella" sita, non a caso, in Arezzo nella Piaggia di Murello, dove la stessa Badia possedeva case e orti.