ATTILIO
Cronaca

Dal Grand Tour alla visita mordi-e-fuggi. Viaggiare è un’arte svelata dagli scrittori

Dalla gita aristocratica del diciottesimo secolo alle orde barbariche di oggi: la città offre molti tesori ma merita consapevolezza e rispetto

Dal Grand Tour alla visita mordi-e-fuggi. Viaggiare è un’arte svelata dagli scrittori

Dalla gita aristocratica del diciottesimo secolo alle orde barbariche di oggi: la città offre molti tesori ma merita consapevolezza e rispetto

Brilli

In teoria il turista può vantarsi di discendere da una nobile tradizione che è inscritta nel suo nome, il Grand Tour, il viaggio d’istruzione attraverso l’Europa che sanciva il passaggio del giovane dall’adolescenza alla maturità e che comunque era di arricchimento culturale per ogni altra età. Tuttavia se poniamo mente ai termini che si associano alla parola turista, balza in evidenza quello di orda che richiama alla memoria le migrazioni barbariche che invadevano e devastavano città e interi territori.

Oggi si parla per l’appunto di orde di turisti, quasi fossero i nuovi barbari. Questa implicita squalificazione è dovuta al modo inconsapevole in cui il turista visita una località. In altre parole, il turista d’oggi non sa che viaggiare è un’arte che implica delle regole e che prevede un addestramento dell’occhio e della mente.

Allorché s’impegna ad apprendere quest’arte, egli diventa un turista consapevole, ovverosia un viaggiatore. Desiderio di ogni turista che abbia acquisito lo spirito del viaggiatore è potere anticipare con lo sguardo il possesso effettivo del luogo che si appresta a visitare.

La particolare configurazione di Arezzo quale città addossata alla collina facilita l’esaudirsi di questo desiderio. Quello che viene definito il pubblico Prato, ovverosia lo spazio verde fra la Fortezza e la Cattedrale, è il punto al quale idealmente convergono, simili alle stecche di un ventaglio, le sue strade principali. Un ventaglio aperto a centottanta gradi è la forma della pianta di Arezzo, cresciuta nei secoli a semicerchi concentrici, degradando appunto dal Prato verso la valle.

Si tratta di una pianta parlante, perché il turista che l’avesse in mente potrebbe ricostruire la storia della città.

Dagli etruschi in poi, ogni nuova cinta muraria ha lasciato un’evidente impronta nel tessuto viario, così che la cinta medievale coincide con la lunga, arcuata via Garibaldi, mentre quella medicea sussiste, seppure discontinua, nelle mura che delimitano il centro storico dal resto della città. Il visitatore consapevole non può non collocarsi quindi nel punto più alto della città, là dove convergono le sue strade a ventaglio. Glielo ha insegnato un’intelligente annotazione di un viaggiatore americano di non molti anni fa, il musicologo e scrittore William Weaver, secondo il quale Arezzo, come altre città collinari, "deve essere presa per la testa".

Ad Arezzo sono venuti, spesso in incognito, le intelligenze più vivaci d’Europa e d’America ad ammirare le opere di una straordinaria tradizione artistica. Qui le opere d’arte sono state in grado di sprigionare una tale suggestione da illuminare il cammino dell’arte o da imporsi quali autentici momenti rivelatori.

Da questo palinsesto di sorprendenti epifanie il turista consapevole può estrarre il caso dello scrittore francese Anatole France che nel primo Novecento scrive: "Non fu né a Bruges, né a Colonia, né a Siena, né a Perugia che si completò la mia iniziazione: fu nella piccola città di Arezzo che diventai cosciente adepto della vera, grande pittura. Una sera, al lume di candela, per mezza lira, una vecchia mi mostrò il sudicio museo di Arezzo dove scoprii una pittura su tavola di Margaritone, un San Francesco la cui pietosa tristezza mi fece piangere. Ne rimasi profondamente commosso. Margaritone d’Arezzo diventò da quel giorno il mio più caro primitivo".

Oppure il medesimo turista potrebbe ricordare il caso molto più tardo del romanziere americano John Dos Passos il quale, per bocca del protagonista di un suo romanzo, dice che guardando gli affreschi di Piero della Francesca e la fredda energia con cui sono delineate le sue nobili figure ha avuto netta la sensazione di non aver mai visto un vero dipinto prima di allora. Anche le manifestazioni tradizionali della città hanno lasciata una loro eco a disposizione dei futuri visitatori.

Il nostro turista potrebbe rileggersi le parole del viaggiatore H.V. Morton, proveniente dal Sud Africa, il quale nel 1962 scriveva: "Un pomeriggio, mentre vagavo per la città, m’imbattei in una scena curiosa. Sei ragazzini coi calzoncini corti erano presi in un gioco movimentato che si svolgeva sul terrazzo antistante il Palazzo della Fraternita, in piazza Grande.

Uno dei ragazzini reggeva con il braccio disteso un pezzo di cartone quadrato, mentre gli altri si mettevano a correre a turno contro di lui imbracciando un manico di scopa. Caracollavano come se stessero cavalcando con la lancia in resta. Compresi allora che giocavano alla Giostra del Saracino, lo spettacolare evento che tramite il quale ogni anno Arezzo rievoca il proprio passato".

Testimonianze di questo genere sono a disposizione del turista che può ripescarle fra le sue più o meno sedimentate letture, oppure reperirle nelle guide turistiche più accreditate. Egli deve comunque rendersi conto che visitare una città significa confrontarsi con un’entità storica complessa che non per caso gli antichi chiamavano genius loci, lo spirito del luogo che esige consapevolezza e rispetto.