STEFANO PASQUINI
Cronaca

Dante a Campaldino tra i cavalieri d’assalto "Ebbi temenza molta e allegria grandissima"

Il suo ruolo ricordato da Leonardo Bruni, che riporta un’epistola perduta. La battaglia ricordata in vari canti della Divina Commedia

Stefano Pasquini

EÈ ormai acclarato che Dante fu presente alla battaglia di Campaldino nella prima linea delle truppe fiorentine. Gli elementi che ci portano a tale affermazione sono i seguenti. Anzitutto bisogna dare atto che né Compagni né Villani riportano, nelle proprie cronache, la presenza di Dante a Campaldino. Questo può essere spiegato con il fatto che all’epoca il poeta aveva soltanto 24 anni e non figurava fra le persone importanti impegnate nella battaglia.

Invece, chi ha scritto di Dante a Campaldino è Leonardo Bruni (1370-1444), aretino, Cancelliere di Firenze, vissuto circa un secolo dopo il poeta. Nel suo libro Le vite di Dante (Sansoni, Firenze, 1917, Par. 3) si legge che "in quella battaglia memorabile e grandissima, che fu a Campaldino, lui, giovane e bene stimato, si trovò nell’armi combattendo vigorosamente a cavallo nella prima schiera; dove portò gravissimo pericolo". Poi Bruni riporta il testo di un’Epistola di Dante, che non è stata ritrovata in seguito, nel quale era scritto:

“Dieci anni erano già passati dopo la battaglia di Campaldino, nella quale la parte ghibellina fu quasi al tutto morta e disfatta; dove mi trovai non fanciullo nell’armi, dove ebbi temenza molta, e nella fine allegrezza grandissima per li varii casi di quella battaglia”.

Altri elementi che confermano la presenza di Dante a Campaldino si trovano nella Divina Commedia. Anzitutto il canto V del Purgatorio, nel quale il poeta si rivolge a Buonconte da Montefeltro, comandante delle truppe ghibelline, chiedendogli lumi sulla sua morte a Campaldino, non come ad un estraneo, ma come persona a conoscenza diretta degli eventi.

E io a lui: “Qual forza o qual ventura

ti travïò sì fuor di Campaldino,

che non si seppe mai tua sepultura?”. Poi nel racconto della morte di Buonconte, il poeta di essere a conoscenza di molti elementi correlati alla battaglia, come il temporale che si scatenò al termine della giornata ed i luoghi circostanti la piana di Campaldino (l’Archiano, l’Arno, il Pratomagno).

Quindi il canto XXII dell’Inferno con i seguenti celebri versi:

Io vidi già cavalier muover campo,

e cominciare stormo e far lor mostra,

e talvolta partir per loro scampo;

corridor vidi per la terra vostra,

o Aretini, e vidi gir gualdane,

fedir torneamenti e correr giostra;

to nella V bolgia dell’inferno, al timore degli abitanti di Caprona che si arresero ai fiorentini dopo l’assedioLa prima terzina dovrebbe riferirsi all’inizio della battaglia di Campaldino ("cavalier muover campo e cominciare stormo e far lor mostra"), mentre la seconda terzina descriverebbe il palio di scherno ("fedir torneamenti e correr giostra") organizzato dai fiorentini sotto le mura di Arezzo durante il successivo assedio della città. Il verbo "vidi", prima persona singolare, dimostra che questi fatti si verificarono sotto l’esperienza diretta del poeta.

Infine i versi del canto XXI dell’Inferno, nei quali il poeta paragona la sua paura dei diavoli, uscendo dal nascondiglio trova:

così vid’io già temer li fanti

ch’uscivan patteggiati di Caprona,

veggendo se’ tra nemici cotanti.

Quel "vid’io" dimostra che Dante era lì, nell’agosto 1289, quando gli abitanti di Caprona, castello del pisano, si arresero ed uscirono dalle mura, timorosi per la loro sorte. Ma l’assedio di Caprona seguì di poco la battaglia di Campaldino e fu messo in atto dal medesimo esercito. Dunque è difficile ipotizzare che Dante fosse presente a Caprona senza essere stato prima a Campaldino.

L’11 giugno 1289 Dante era schierato in prima fila fra i feditori a cavallo guidato da Vieri de’ Cerchi. I feditori erano cavalieri che venivano schierati nella prima linea delle milizie comunali. Di solito erano reclutati fra i migliori combattenti e venivano armati alla leggera. Si trattava di un ruolo molto rischioso ma, proprio per questo, era considerato di grande prestigio. Il poeta però aveva solo 24 anni ed era alla sua prima battaglia.

Quando gli aretini partirono all’attacco, con alla testa Buonconte da Montefeltro, Dante ebbe "temenza molta". L’impatto fu violentissimo e molti cavalieri guelfi furono disarcionati. Non sappiamo precisamente cosa successe a Dante, ma sicuramente si ritrovò nel mezzo dei combattimenti più violenti.

I fiorentini poi prevalsero grazie alla superiorità numerica delle truppe, alla tattica attendista, al sapiente uso dei balestrieri ed all’attacco della riserva di Corso Donati. Al termine della battaglia Dante provò "allegrezza grandissima".

Poi seguì le truppe fiorentine nella conquista di Bibbiena e nell’assedio d’Arezzo. Davanti alle mura della città i fiorentini organizzarono un palio dispregiativo e poi vestirono degli asini con in capo la mitria del vescovo, a spregio del deceduto Guglielmino Ubertini, e li catapultarono dentro la città. Quindi riprese l’assedio, con i fiorentini che apprestarono torri di legno e altre macchine per penetrare dentro la città e così riuscirono a distruggere una parte dello steccato di protezione costruito da donne e vecchi all’ultimo momento. Gli assedianti allora tentarono un attacco da quella parte ma gli aretini riuscirono a resistere e la notte, in una sortita, incendiarono torri e macchine. Solo allora i guelfi si ritirarono e tornarono a Firenze.