
Stefano Pasquini
Nel canto XXIV del Purgatorio Dante incontra Bonagiunta Orbicciani (1220-1290), un poeta di Lucca della generazione di Guittone, che aveva raccolto l’eredità dei trovatori e della scuola siciliana.
Bonagiunta si rivolge a Dante:
“Ma dì s’i’ veggio qui colui che fore trasse le nove rime, cominciando ‘Donne ch’avete intelletto d’amore’". E io a lui: "I’ mi son un che, quando Amor mi spira, noto, e a quel modo ch’e’ ditta dentro vo significando". "O frate, issa vegg’io", diss’elli, "il nodo che ‘l Notaro e Guittone e me ritenne di qua dal dolce stil novo ch’i’ odo!
Bonagiunta dunque chiede se Dante sia proprio il poeta che ha innovato profondamente la tradizione ("trasse le nove rime"), con il componimento, inserito nella Vita Nova, intitolato Donne ch’avete intelletto d’amore. Dante allora risponde rivelando quale sia la novità di tale poesia e cioè che è stata scritta sotto dettatura diretta dell’Amore (con la A maiuscola). Bonagiunta quindi afferma di aver compreso quale sia il motivo ("il nodo") che ha impedito a poeti come Giacomo da Lentini (il "Notaro", dal mestiere esercitato dallo stesso), Guittone e lui stesso di appartenere a quella corrente poetica identificata come "dolce stil novo", che è poi quella di Dante stesso, assieme a Guinizzelli e Cavalcanti.
Il riferimento alla poesia della Vita Nova intitolata Donne ch’avete intelletto d’amore, ci fa capire che “scrivere sotto dettatura di Amore” significa abbandonare la poesia come descrizione delle varie emozioni legate allo sviluppo concreto del rapporto uomo-donna e concentrarsi invece sulla lode delle virtù della donna (poesia della loda), diventando quindi attività letteraria autonoma e gratuita.
Guittone non ha saputo compiere questo passo e dunque è rimasto al di qua del "nodo", continuando a fare poesia in modo vecchio e superato.
Questo giudizio è fondato? È vero che Guittone non giunse ad aderire alla poesia della loda? E questo cosa significa? Dante ispira la propria poetica alla filosofia di Tommaso d’Aquino, per il quale l’amore è un fenomeno unitario e quindi può esserci progressione fra l’amore terreno e sensibile e quello verso Dio. Pertanto l’itinerario dantesco della poesia d’amore parte dal sentimento per una donna sensibile, Beatrice, poi evolve nella lode per le sue virtù, affermando così l’autonomia della letteratura, e giunge alla glorificazione dell’amore verso Dio.
Guittone segue una strada molto diversa, fatta non di unità bensì di rottura. È un gaudente e poeta dell’amor profano fino al 1265. Poi sceglie la di dedicarsi alla vita religiosa, aderendo all’Ordine dei Cavalieri di S. Maria Gloriosa, diventando così cantore dell’amore divino, ripudiando la sua prima fase e addirittura vergognandosene. Per lui l’amore non è affatto un fenomeno unitario ma anzi l’amor carnale si pone in aperta contrapposizione rispetto all’amore religioso, come fosse la sua antitesi (Trattato d’amore).
Il poeta aretino raccolse una concezione religiosa diversa da quella espressa dalla corrente aristotelico tomistica, e che ricalcava le teorie dell’altro grande teologo cristiano: Agostino d’Ippona. Si tratta del mito della conversio, cioè dell’uomo perso nei piaceri terreni che, ad opera della grazia di Dio, si volge verso i beni celesti.
Nelle sue Confessioni Agostino aveva raccontato la propria evoluzione personale, da una vita dedita ai piaceri terreni all’adesione alla filosofia morale di Cicerone ed al manicheismo, fino alla sua conversione al cristianesimo con Sant’Ambrogio, vescovo di Milano. In questo percorso personale c’erano stati un prima e un dopo nettamente contrapposti, una vita nel peccato ed una conversione dell’anima verso i beni veri ed eterni.
Nella sua altra opera fondamentale, La città di dio, Agostino ribadì che l’esistenza umana era sottoposta alla scelta essenziale tra il vivere secondo la carne e il vivere secondo lo spirito. Queste due prospettive erano correlate a due opposti stili di vita: la Civitas Terrena, ovvero la città della carne e del diavolo; e la Civitas Dei, ovvero la città dello spirito, la città celeste.
Guittone fu espressione di questa grande tradizione teologica. Da giovane visse nel mondo della carne, esprimendo una poetica dell’amor sensibile, pieno di desideri impuri e peccaminosi. Da uomo maturo compì la propria renovatio nello spirito, dedicandosi alla poesia d’ispirazione morale e religiosa.
La differenza fra Dante e Guittone è tutta qui, nell’adesione a diverse tradizioni teologiche. Il poeta fiorentino esprime la concezione aristotelico tomistica, per la quale l’esperienza dell’amore terreno può evolvere, senza soluzione di continuità, nell’amore divino. Il poeta aretino raccoglie la visione agostiniana di piena inconciliabilità fra amore terreno e amore divino.
Nessuno vuol mettere in dubbio la superiorità poetica ed intellettuale di Dante rispetto a Guittone. È importante però concludere prendendo atto che il famoso "nodo" evocato da Bonagiunta, alias Dante, nel canto XVIV del Purgatorio, non divide i poeti fra innovatori e conservatori, ma separa intellettuali di pari dignità, espressioni di diverse visioni del pensiero filosofico e teologico nell’alveo della stessa religione cristiana.