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Alma Petri, vedova di Emanuele, si racconta
"Sono andata davanti alla tomba di chi ha ucciso mio marito ma non ho provato nulla, nemmeno odio. Ma il perdono non spetta a me, ma a Dio". Lo dice Alma Petri, a distanza di 22 anni da quel maledetto 2 marzo del 2003. Quel giorno il sovrintendente della Polfer di Terontola Emanuele Petri durante un controllo nel regionale Firenze-Roma si accorse di avere tra le mani due documenti falsi: appartenevano a Mario Galesi e Nadia Desdemona Lioce, capi delle nuove Br. I terroristi si accorsero dei dubbi dei poliziotti e tirarono fuori le armi. Galesi sparò a Petri e partì una sparatoria. Petri perse la vita mentre il treno stava sostando alla stazione di Castiglion Fiorentino. Galesi morirà poco dopo, mentre Desdemona Lioce verrà arrestata.
Signora Alma, a 22 anni di distanza, lei continua a raccontare con passione chi era suo marito. Chi le dà la forza?
"Finché posso, fino a quando potrò, lo farò sopratutto per i ragazzi. C’è bisogno di promuovere la legalità tra le nuove generazioni e c’è bisogno di far sapere loro che ci sono state persone che hanno sacrificato la loro vita per avere un modo più libero e giusto. Adesso ho cominciato anche a parlare alle scuole di polizia, ai futuri ispettori, sovrintendenti. Cosa racconto? Io racconto la storia di Emanuele, di chi ha fatto il suo dovere ed è morto per farlo. E vedo che tanti ragazzi ascoltano e poi vengono a darmi la mano: mi dicono grazie".
Sono bei momenti questi
"Sì, la cosa che mi tocca di più è quando, dopo aver raccontato la storia di Lele, qualcuno dei ragazzi si commuove. Ecco, lì capisco che i ragazzi hanno capito me e il messaggio di Emanuele".
Sono tanti i fatti di cronaca che mettono al centro giovani violenti. C’è una cultura della trasgressione tra i ragazzi oggi?
"Forse. Ma i ragazzi vanno capiti, con loro ci parlo, e quando ci parlo vedo che capiscono. E le dirò di più: sono entusiasti. E infatti continuano a farmi domande e ancora altre domande. Non è vero che la gioventù è persa".
Secondo lei oggi c’è un clima di sfiducia, quasi di astio, verso le forze dell’ordine?
"Esatto. Non c’è rispetto per le forze dell’ordine, come magari c’era ai miei tempi. Non riescono a capire che dietro la divisa c’è un essere umano".
Qual è l’ultimo ricordo di suo marito?
"Il primo marzo siamo andati a mangiare una pizza, con un amico. Eravamo sereni, spensierati".
Poi la mattina della tragedia
"Lui si era alzato presto la domenica, mi ha salutato per andare al lavoro, come sempre. Era una giornata tranquilla non potevo immaginare quello che sarebbe successo..."
Lei suo marito lo vede sempre nello stesso modo?
"Il primo febbraio di quest’anno avrebbe fatto settanta anni. Non riesco a immaginarlo. Io sono ferma a 22 anni fa, per me lui ha sempre 48 anni. Mi fermo spesso a pensare: come sarebbe adesso? Ma non riesco a rispondere".
Lei è riuscita a perdonare chi ha premuto il grilletto?
"Il 4 ottobre del 2011 io sono andata davanti alla tomba di Galesi, volevo sapere se provavo odio per lui. Ma lì davanti no, non ho provato alcun sentimento, nemmeno odio. Però penso che il perdono non spetti a noi ma a Dio. Ma a chi ha ucciso Emanuele non ci penso mai".
Luca Amodio