CLAUDIO
Cronaca

Dio stramaledica gli inglesi. La vita avventurosa di Appelius segnata da una frase alla radio

Nato in piazza Guido Monaco girò il mondo e scrisse diversi libri di viaggio. Poi, durante la Seconda guerra mondiale, lanciò il motto caro al fascismo.

Nato in piazza Guido Monaco girò il mondo e scrisse diversi libri di viaggio. Poi, durante la Seconda guerra mondiale, lanciò il motto caro al fascismo.

Nato in piazza Guido Monaco girò il mondo e scrisse diversi libri di viaggio. Poi, durante la Seconda guerra mondiale, lanciò il motto caro al fascismo.

Repek

Una frase può racchiudere una vita. La stessa frase può cancellarla. È quanto è accaduto a Mario Appelius con la sua "Dio stramaledica gli inglesi". L’appello risuonava dalle frequenze dell’Eiar durante il secondo conflitto mondiale. Il suo appello non fu raccolto. L’Italia perse la guerra, l’Inghilterra la vinse.

Appelius fu costretto a lasciare il lavoro - sembra dallo stesso Mussolini - e sarebbe morto pochissimi anni dopo. Con quella frase passò alla storia, duellando con il colonnello Steven che informava gli italiani da Radio Londra. Concluse la sua vita nel 1946 e verrà poi ricordato quasi esclusivamente per quella invettiva, una sorta di graffio nell’etere che non scalfì la "perfida Albione" ma cancellò dalla memoria collettiva la sua vita precedente fatta di ribellioni, viaggi, libri, giornalismo.

Era nato ad Arezzo nel 1892. Il padre era un matematico e un ufficiale dei carabinieri. Si alzava tutte le mattine alla stessa ora, alle 7.25 fumava la prima sigaretta, beveva una tazza di caffè con due zolle e un quarto di zucchero in 8 sorsi. In casa si parlava esclusivamente tedesco due giorni alla settimana: il martedì e il venerdì. In questa famiglia che percorreva l’Italia seguendo la carriera dell’ufficiale, come lui stesso racconta nell’autobiografia "Da mozzo a scrittore": "Nacqui io ad Arezzo, in piazza Guido Monaco. In una stanza che aveva balconi e gerani sul piazzale. Era il 29 luglio e suonavano le 4 del mattino all’orologio di Santa Maria delle Grazie. Mia madre era tornata in fretta e furia tre ore prima da un teatro, dove rischiai di nascere durante il terzo atto del Rigoletto". Il giovanissimo Appelius non ha la vocazione prussiana del padre. "A nove anni scappai per la prima volta di casa, in quel di Bergamo, e fui ritrovato solamente tre gironi dopo dai Reali Carabinieri a San Pellegrino".

L’anno dopo nuova fuga fino a Verona. La famiglia decise di metterlo in collegio ma il piccolo Appelius evase e a 15 anni, s’imbarcò come mozzo a Napoli. Ecco il saluto del padre: "Ebbe l’accortezza di non baciarmi. Mi dette invece la mano, da uomo ma uomo. E quella stretta virile fu il viatico che mi accompagnò da allora per l’esistenza (…) Era la mia rivincita contro la matematica, la lingua tedesca e il frustino".

Gira il mondo ma la prima guerra mondiale lo riporta ad Arezzo: "Mi presentai al Distretto militare dove però non risultavo nelle liste di mobilitazione essendo stato trasferito, senza saperlo alla leva del mare".

Dopo la guerra, Mario Appelius riprende i suoi viaggi. Livio Sposito, già caporedattore del Corriere della Sera e del Sole 24 ore ricorda nel libro Mal d’avventura i suoi percorsi tra Asia, Africa e sud America. "Fa mille mestieri, dal venditore ambulante in Egitto all’impiegato in una società commerciale nell’Indocina, al finanziere, all’industriale in Sudan, all’interprete, Ma il suo vero sogno è diventare giornalista". Scrive molti libri di viaggio raccontando luoghi allora considerati non solo esotici ma irraggiungibili,

Ci vorrà il fascismo per farlo diventare giornalista. "L’unico che accetta di pubblicare i suoi resoconti è il fratello di Mussolini, direttore del Popolo d’Italia e per questo potremmo dire che diventa fascista per caso". Forse, ma certamente lo rimarrà per scelta.

Nel 1941 entra all’Eiar. Ancora Sposito: "Mario Appelius (…) aveva conservato dall’infanzia un leggero accento aretino. Il suo fu per due anni il più grande comizio serale.(…) I commenti di Appelius che andavano in onda alle 8.20 della sera (…) attirarono un pubblico da 4 a 6 milioni di persone". Appelius duella nell’etere con il colonnello Steven. Eiar contro Bbc. La retorica contro l’Inghilterra: "Gigantesco conglomerato di possedimenti coloniali(…) costituito da un popolo di pirati e mercanti attraverso una lunga serie di colpi di mano, rapine coloniali e tradimenti internazionali. Gli inglesi sono ora pronti a vedere l’Europa messa a ferro e fuoco dalle orde mongoliche di Stalin pur di difendere i loro interessi egoistici". L’Italia marcia verso la sconfitta, Appelius verso la cacciata dall’Eiar. Sposito cita i suoi due ultimi colloqui con Mussolini che arrivarono a sintesi il 20 febbraio 1943. Licenziamento. Poi un velocissimo declinare.

Fu uno dei pochi giornalisti fascisti ad essere arrestato alla fine della guerra. Tornato in libertà scrisse a Arnoldo Mondadori chiedendo aiuto: "le mie condizioni sono semplicemente catastrofiche con tre bimbi di sei, cinque e tre anni. (…) Grazie e si ricordi di me appena avrà qualcosa da farmi fare". Nel 1932 aveva concluso così la sua autobiografia: "Se non altro ho vissuto. Ed ho la soddisfazione di essere figlio di me stesso. L’unica cosa che mi spaventa è d’arrivare al mio tramonto senza aver vissuto abbastanza".

Morirà 14 anni dopo aver scritto questa frase, di malattia e a soli 54 anni. Forse avrà ripensato alla frase che gli aveva dato la gloria e a chi, alla fine, era stato davvero stramaledetto.