Gaia Papi
Cronaca

Donna uccisa dal marito. "Gli dicevo: fatti aiutare". Le parole della domestica e la malattia che lascia soli

La psicologa Marcheselli: "Una tragedia che fa riflettere sul tema del caregiver". "Chi si prende cura di una persona malata è sottoposto a un particolare stress"

Arezzo, 22 giugno 2024 – “Non ce la facevo più". In lacrime Alessandro Sacchi, 80enne, ieri mattina ha confessato di aver ucciso la moglie Serenella Mugnai, 72 anni, da tempo malata di Alzheimer. E’ la mezzanotte di giovedì; un colpo di pistola, alla testa, uccide Serenella che è in cucina in un appartamento in viale Giotto al civico 162. Poi è Mugnai che chiama i vicini e i soccorsi. La squadra della mobile lo trova in casa abbracciato alla moglie, ormai morta. L’80enne viene arrestato per omicidio volontario, aggravato dal vincolo di parentela. "Siamo di fronte ad un dramma della disperazione" spiega la psicologa e psicoterapeuta, Elisa Marcheselli. "Non è giustificabile il gesto, ma è evidente come fosse arrivato alla disperazione. Il disagio non è sempre nascondibile, le risorse più attive e giovani nella famiglia è bene che non sottovalutino i primi segnali".

Ma la coppia non aveva figli. Tutto il carico, anche psicologico, era sulle spalle dell’80enne che, a febbraio, aveva assunto una badante per aiutarlo ad assistere la moglie. Ieri mattina, la donna, arrivata nell’appartamento, si è trovata difronte alla tragedia: "Gli avevo detto che non ce la poteva fare da solo, di farsi aiutare. Voleva cercare una Rsa" ha raccontato ai microfoni di Arezzo Tv. "La mente umana ha la capacità di controllare i propri impulsi e i propri desideri, ma talvolta ci possono essere spinte negative che alterano il comportamento stabile. In quei casi il controllo è difficile da esercitare perché si va a formare quella che in termini medici si chiama "sindrome del discontrollo" che si traduce in atti violenti, non sempre singoli e sporadici, spesso piccole perdite di controllo che si accumulano nel corso del tempo".

Questa tragedia cosa ci racconta?

"Ci deve far riflettere sul tema cargiver. Su quanto il loro costo in termini anche psicologico sia forte. La routine famigliare e le relazioni con la persona bisognosa mettono a dura prova. Non a caso si parla della "sindrome burnout caregiver": una particolare risposta allo stress conseguente alla gestione dell’assistito che porta ad una sensazione crescente di stanchezza e di esaurimento emotivo, che può portare ad un calo delle difese immunitarie, ad un isolamento, allo sviluppo di sintomi psichici come ansia e depressione. Effetti che, se non vengono gestiti in tempo, possono portare a vedere soluzione quella che non lo è mai".

Siamo difronte ad una emergenza sociale?

"Si, le famiglie sono sempre meno numerose e c’è sempre meno supporto interno perché la vita limita. Sostenere da soli un fardello di questo peso è impossibile, c’è bisogno di una rete sociale. E’ cresciuto esponenzialmente il numero di pazienti che chiedono aiuto dopo anni di gestione di un malato o di un anziano. Anni in cui si logora il rapporto, aumentano liti, gesti aggressivi".