di Alberto Pierini
Ha giurato e spergiurato che stava solo scherzando, che il clima all’interno dell’autogrill era dello stesso tenore, che non voleva offendere nessuno. Ma non gli hanno creduto: e alla fine la Cassazione ci ha messo sopra il carico da novanta. Licenziato per giusta causa.
E’ l’epilogo di una vicenda partita la bellezza di sei anni fa, in un altro agosto rovente, quello del 2017. Rovente e non solo per il clima. Perché Maurizio M, un barista dell’autogrill di Badia al Pino ormai sessantenne, si è infilato in una bufera per una serie di battute alla collega. Battute poco divertenti in generale e per di più a sfondo sessuale. Lei prima ha sorvolato poi alla fine lo ha denunciato. Dietro quel bancone non ce la faceva più a sentire quello che lui gli ripeteva. Le frasi? "Ti faccio popi-popi": facile interpretarlo, anni fa il termine coniugato al seno femminile era di quelli ricorrenti.
O anche "Vado a parlare con Willie": forse uno dei pochi termini sull’organo maschile dimenticati da Benigni nella famosa scena con la Carrà. Ma sinonimi a parte erano tutti rivolti a lei e quindi considerati invadenti.
L’azienda lo mette alla porta, la porta dell’autogrill. Lui si ritrova indagato anche per stalking e violenza sessuale, quindi sul piano penale: ma in questo caso l’accusa viene derubricata in molestie. Segnali davanti ai quali decide di fare ricorso contro il licenziamento. Ma stavolta viene respinto con perdite. Non una ma due, anzi tre volte: tribunale, appello e Cassazione.
Sì, fino alla sentenza definitiva di Cassazione. Che blinda il giudizio dei colleghi: hanno fatto tutti bene a sbatterlo fuori. Lui pare non se la passi granché, un altro lavoro non lo avrebbe ritrovato. Ma non può che piangere sul latte versato, cosa che per un barista è quasi paradossale. Nella sentenza, diffusa dallo Studio Cataldi di Milano, la suprema corte non ha dubbi. Quell’atteggiamento sul luogo di lavoro "era indesiderato e oggettivamente idoneo a ledere e a violare la dignità della collega". Lui ha provato di tutto: virando sulla goliardia, provando a disegnare uno scenario dove "fosse assente la volontà offensiva".
E in cui comunque "il clima dei rapporti tra tutti i colleghi fosse scherzoso e goliardico". Ne è uscito sconfitto. E non solo davanti al giudice del lavoro. Perché in sede penale è stato condannato un annetto fa ad un mese e dieci giorni per molestie. In quel caso si è fermato, forse frastornato dalle sconfitte, e non ha neanche presentato appello.
Ma per lui lo scotto più grave era il licenziamento. Ed è andato fino in fondo. Anzi, a fondo. E forse con lui quanti a volte si prendono libertà imbarazzanti con le donne. Con un doppio scorno. Ritrovarsi a piedi. E scoprire di essere davvero poco divertenti.