Arezzo, 8 maggio 2018 - Entrava decisa in classe come un caterpillar. Pettinatura perfetta, borsa, l'andatura eretta che non aveva perso neanche dopo i 90 anni, anche se ne erano passati tanti da quelli della scuola. E decisa come sempre se ne è andata: in pochi giorni, tra la scoperta di un grave problema circolatorio e la fine, ieri pomeriggio. E' morta Andreina Festi Bresciani, i funerali saranno celebrati oggi alle 15 nella chiesa di San Bernardo.
Per chi non ha frequentato il liceo classico forse un nome come tanti altri. Per chi la aspettava, a volte un po' preoccupato, tra i banchi un pezzo di vita. Era stata prima l'anima e poi la memoria di quella scuola. Professoressa di ginnasio: i due anni iniziali del percorso al classico, che per tanto tempo avevano mantenuto quella strana numerazione che da fuori nessuno ha mai capito.
Nei fatti in classe insegnava quasi tutto: dal latino al greco, dall'italiano a storia a geografia. L'insegnante di riferimento per tante generazioni: vista la rosa delle materie quasi un insegnante unico di quelli delle elementari, che entrano alla prima ed escono alla quinta o alla sesta ora, sempre faccia a faccia con gli stessi allievi.
Allievi che prima sconvolgeva all'inizio del ciclo di lezioni: l'altra faccia del suo piglio, le bastavano pochi giorni a far capire che a scuola non si scherzava. Anzi sì, perché aveva una carica di ironia, asciutta e a tratti graffiante, che ne facevano un personaggio unico.
Indimenticabili i suoi commenti, anche durante i cicli cinematografici che si svolgevan al liceo classico. Davanti a "Morte a Venezia"? Alla fine tutti ad accapigliarsi da critici in erba per capire come mai Tazio, il ragazzino protagonista, indicasse nella scena finale il mare. Lei li faceva parlare, poi eccola erompere: "Era Venezia, cosa volete che indicasse? La montagna?".
Eppure un giorno alla volta ti faceva innamorare di quello che insegnava. Con il rigore che non perdonava nulla. Con quel pizzico di intelligente provocazione che non ti lasciava mai bivaccare al sicuro. Fino a interrogarti quattro volte di fila a geografia. Ma non per accanirsi, quasi divertita tra sè e sè di mandarti all'aria tutte le certezze e insieme prepararti alle curve della vita.
Le curve e le salite: in gita era come in classe, il caterpillar che non si fermava mai, mentre tu ti affannavi a 16 o a 17 anni, teoricamente nel pieno delle energie, a starle dietro. Veniva dalla zona di Gorizia, aveva perso il padre da giovane: un ingegnere stradale, una delle vittime delle foibe, in quella terra di confine e lacerata dalle vicende della storia e dall'orrore.
Prima l'esperienza politica, era stata anche consigliere del Movimento sociale e candidata alle politiche proprio nel 1968, 50 anni fa esatti, raccogliendo quasi 900 preferenze. Un compagno di vita perso troppo presto e del quale sventolava con orgoglio il cognome. E la scuola rimasta comunque la sua vita.
Non si dimenticava un solo allievo di quelli che aveva avuto. Non solo la faccia, non solo il rendimento scolastico. E quando ti incrociava, acuta come sempre e mai accomodante, ti richiamava all'ordine "pizzicandoti" sempre al punto giusto. Orgogliosa di chi aveva di fronte, ma senza darlo a vedere, apparentemente burbera ma affettuosa come sanno essere solo i migliori insegnanti.
"Aprite la finestra e spegnete la luce" era il refrain classico quando entrava in classe. Uno sguardo in giro e quella classe era sua. Concreta, precisa: una lezione che ti rimaveva attaccata addosso, anche tanti anni dopo la maturità. E così ad ognuno delle centinaia e centinaia di ragazz che aveva guidato nella sua vita, in pianura come in salita.
Prima che la luce si spegnesse davvero e stavolta senza darle il tempo di riaprire la finestra. O forse no: a spalancarla ci penseranno i ragazzi che ha avuto negli anni. Come se continuassero disciplinati a seguirla, proprio come ai tempi della scuola