Arezzo, 9 marzo 2018 - I guai della superstrada della vergogna non finiscono mai. L’ultimo scandalo (potenziale per ora) della E45, pomposamente ribattezzata come l’alternativa all’Autosole da Orte a Ravenna, in realtà poco più di una mulattiera disseminata di buche, gobbe e sensi unici alternati, lo svela il blitz dei carabinieri Forestali della procura di Arezzo, che ieri mattina hanno sequestrato il materiale franato un paio di settimane fa da una piazzola di sosta a Pieve Santo Stefano, Valtiberina toscana.
Non è solo terra e roccia, come dovrebbe essere, ritengono i protagonisti dell’operazione, ma un conglomerato che va classificato alla voce rifiuti speciali. Il che getta pesanti ombre sul fondo stradale della E45, almeno nel tratto toscano: difficile pensare che se di rifiuti si tratta, siano stati adoperati solo per realizzare una piazzola. Ma la conferma ai sospetti potrà venire solo dalle analisi delle prossime settimane: si dovessero trovare tracce di olii e altre sostanze che poco hanno a che fare con una massicciata stradale, sarebbe la prima prova che il caso E45 va ben al di là di quanto ipotizzato finora nelle inchieste del procuratore capo Roberto Rossi, con titoli di reato che spaziano dall’attentato alla sicurezza dei trasporti al disastro colposo.
Intanto, nel decreto di sequestro che i carabinieri forestali hanno inviato a Rossi per la convalida, vengono segnalati per smaltimento illecito di rifiuti quanti hanno messo mano alla rimozione del materiale franoso, da chi nell’Anas l’ha commissionato alla ditta che l’ha realizzato e a quella che l’ha stoccato. Comincia tutto col crollo della piazzola, una faglia impressionante, come se fosse avvenuto un terremoto, che spacca la sede stradale e fa scivolare a valle i resti della massicciata. Il procuratore capo, che già si apprestava a chiedere il rinvio a giudizio di cinque ex dirigenti dell’Anas di Firenze per attentato alla sicurezza dei trasporti, apre un nuovo fascicolo per disastro colposo, affidando le deleghe d’indagine a carabinieri e forestali.
Questi ultimi si mettono sulle tracce del conglomerato franato e scoprono che è stato rimosso in tutta fretta e trasportato in un sito di Sansepolcro. I primi controlli destano subito dubbi: questa non è terra e roccia, questo è un materiale assimilabile a rifiuti. Di qui il blitz col sequestro. Ma che succede adesso? Bè, la parola passa ai chimici.
E se loro dovessero dar ragione ai sospetti dei forestali, si aprirebbero prospettive per ora difficili da immaginare. Fino allo scenario (per ora solo ipotetico) che il fondo della E45 sia stato realizzato con materiali di scarto. Nel caso, anche l’altro ramo dell’indagine, quello che mira a far luce sulle cause del crollo, potrebbe trovare nuove spiegazioni. Di certo, le crepe c’erano già dal 2011, come dimostrano le foto di Google Maps. C’entrano qualcosa con la frana? La parola ai tecnici.