
Elena Favilli
Arezzo, 23 giugno 2015 - Da Loro Ciuffenna a Los Angeles, passando per San Francisco, e tutto grazie a una borsa di studio dell’università di Bologna. È la storia di Elena Favilli, 32 anni, che ha messo su un start up in America e ieri è tornata in Italia, a Bologna, per raccontare di fronte ai suoi ex professori (e in compagnia di Massimo Cacciari e Vittorio Sgarbi) la bella esperienza che l’ha vista protagonista. Elena, infatti, è stata invitata alla «Reunion Unibo», il primo raduno mondiale di ex alunni della storica Università. Lì, in qualità di laureato eccellente, ha parlato in piazza raccontando la sua bella avventura.
Partiamo dall’inizio, da quando ha pensato di andare in America. «Ci sono arrivata grazie, sostanzialmente, a una borsa di studio. La mia tesi di laurea era stata selezionata per un concorso che premia le idee imprenditoriali più innovative dei giovani neolaureati. Ho vinto la prima borsa di studio con cui ho realizzato il prototipo del mio magazine, si chiama Timbuktu ed è stato riconosciuto come il primo I-pad magazine per bambini.
Questa idea ha avuto rapidamente un’eco vastissima, la stampa ne ha parlato a ogni latitudine e le cose sono cresciute molto rapidamente. Così ho iniziato a partecipare alle prime competizioni per start up e ne ho vinta una che siama «Mind the bridge», il premio consisteva nello stare lì un mese e iniziare a prendere confidenza con il mondo della Silicon Valley».
E qui è arrivata la svolta. «In quel mese abbiamo trovato un investitore per il progetto, il quale a sua volta ne ha portati altri. Per un totale di seicentomila dollari. Da lì è stato normale pensare a questo progetto in chiave americana. Avevo già studiato in California, alla scuola di giornalismo di Berkeley. Nel 2012 sono tornata a Los Angeles, con l’intento di aprire la mia azienda, Timbuktu lab». «Agli studenti di Bologna ho parlato della mia esperienza e soprattutto ho spiegato loro di cogliere ogni opportunità che l’università possa offrire.
Per me è stato determinante vincere la borsa di studio e andare a Berkeley, da lì è nato tutto, senza quello non sarebbe nato Timbuktu. Alle ragazze, in particolare, mi sento di dire di essere preparate e avere tanta tenacia e determinazione, perché nel mondo del lavoro non c’è uguaglianza, neanche in America, neppure nella evolutissima Silicon Valley. Un dato su tutti, anche lì soltanto il 2% dei fondi investiti ogni anno premiano start up guidate da donne».
Quanto all’Italia, «ci torno spesso, ma ora la mia azienda è negli Stati Uniti, quello è il mercato di riferimento principale. Mi piacerebbe costruire un pezzo dalla mia carriera anche qui, ma questo fa parte dei progetti per il futuro».