Cavriglia (Arezzo), 29 dicembre 2024 - “Tu sei il figliolo maggiore: tu devi vedere, perché tu devi ricordare”. Se esiste una frase che ha segnato per sempre la sua esistenza, senza dubbio è questa. Gliela disse sua nonna, donna energica e vigorosa, la mattina del 5 luglio 1944, il giorno dopo il grande massacro nazifascista avvenuto nel comune di Cavriglia, quando lo prese per mano, mentre lui piangeva, nonostante la sua paura e la sua reticenza di bambino di 11 anni, e lo accompagnò sulla piazza IV Novembre, davanti al muro sotto alla chiesa di Castelnuovo, nel silenzio assoluto in cui si sentiva solo la voce del torrente Pianale, in fondo al crepaccio, affinché vedesse l’enorme catasta di morti carbonizzati tra cui c’era anche suo padre Giuseppe e affinché imprimesse a fuoco nella memoria quali sono le conseguenze atroci della guerra.
Emilio Polverini, memoria storica della comunità di Cavriglia, all’età di 90 anni, si è spento ieri notte nella casa di riposo del Neri. I funerali lunedì alle 10,30 a Castelnuovo dei Sabbioni. Le parole di sua nonna, quella mattina, fecero così presa su di lui, che trascorse il resto dei suoi giorni a raccogliere e documentare tutto ciò che afferiva alla storia del massacro e a quella del ‘900 di Cavriglia e del Valdarno: diari, testimonianze orali e scritte, fotografie, dichiarazioni ufficiali e altro ancora.
Nel corso dei decenni così riuscì a costruire tassello dopo tassello un mosaico della memoria unico, uno degli archivi privati più ampli e preziosi dell’intera Toscana grazie al quale è stato possibile per decine di storici e di ricercatori ricomporre la storia di quell’eccidio ma anche del territorio dell’intero Valdarno. Schivo, mite, riservato, controvento, sarcastico, sensibile, rigoroso, acuto, testardo, curioso, generoso, solitario e profondo, se andavi a trovarlo Emilio si sentiva onorato e grato, mostrava i suoi documenti con la cura di chi è consapevole di aver ricomposto un tesoro di inestimabile valore, un patrimonio immenso che talvolta temeva potesse andare perduto dopo la sua morte e che a partire dal 2014, per questo motivo, ha donato al Museo Mine del comune di Cavriglia e che ora appartiene a tutta la comunità. Autore di varie pubblicazioni, di articoli e testimonianze di vario genere, tra cui tra tutte ricordiamo “Perché la memoria non si cancelli” scritto con l’altro grande storico valdarnese Dante Priore, il primo libro edito sull’eccidio di Cavriglia nel 1994, Emilio collaborò a lungo con le amministrazioni comunali, in particolare con quelle guidate da Enzo Brogi, da Ivano Ferri e da Leonardo Degl’Innocenti o Sanni e nel luglio 1984, tra le tante opere compiute, contribuì anche alla costruzione del monumento posto in piazza Pertini a Castelnuovo dei Sabbioni in memoria dei caduti.
Fu lui, inoltre che, insieme a chi scrive, all’inizio degli anni 2000, tradusse dall’inglese all’italiano e studiò per intero il faldone di 2000 pagine riguardante Cavriglia, facente parte delle inchieste dell’esercito alleato sulle stragi, contenute nel cosiddetto armadio della vergogna. Un lavoro immane, durato anni, che aprì nuovi e inquietanti scenari storici e svelò misteri rimasti celati per troppi anni. Purtroppo, non c’è ancora stata giustizia per il massacro di Cavriglia, ed Emilio se n’è andato senza ottenerla.
Ma se la coltivazione della memoria è una forma di giustizia riparativa per i familiari delle vittime e per le comunità colpite, beh, c’è solo da inchinarsi colmi di gratitudine di fronte a questo gigante buono che ha preso la via dell’eternità. Perché ha sacrificato la sua stessa vita per la ricerca che in fondo, come lui stesso un giorno di tanti anni fa mi confidò, per lui fu il modo migliore che conoscesse per non dimenticare mai suo padre. Suo padre che forse, ieri notte, finalmente avrà riabbracciato.