
Salvatore
Mannino
Nell’estate 1921, cent’anni fa, Arezzo e la sua provincia sono saldamente in mano al fascismo che le ha conquistate manu militari nella terribile fiammata di violenza di marzo e aprile, quale mai gli aretini avevano conosciuto nella loro storia recente. Eppure non si deve credere che la situazione politica, per quanto i partiti di sinistra, socialisti, comunisti e anche anarchici in Valdarno, siano ormai fuori gioco, sia del tutto tranquilla. Le contraddizioni si trasferiscono dall’esterno all’interno di un fascismo quasi totalitario, come più tardi preconizzerà Gramsci. Ed è il corpaccione di un Regime incipiente che è scosso da scariche così forti da portare infine alla rivolta dei fascisti locali contro lo stesso Mussolini.
E’ il futuro Duce a imprimere al movimento non ancora partito ma già milizia le prime onde di un terremoto che nel corso dell’estate diventerà la ribellione dello squadrismo padano e di tutta l’Italia centrosettentrionale nei suoi confronti. I fascisti hanno eletto 35 deputati, fra cui l’aretino (di Montevarchi) Dario Lupi, nei Blochi Nazionali con Giolitti, ma Mussolini tutto vuole meno che restare prigioniero dell’alleanza con il quasi ottantenne presidente del consiglio, l’unicoin grado di tenergli testa. Ecco, dunque, le due mosse all’apertura della nuova Camera che disorientano anche la base fascista. La dichiarazione della tendenzialità repubblicana, riesumazione del sansepolcrismo del ’19 ormai morto e sepolto, con annuncio che i deputati fascisti non parteciperanno alla Seduta Reale e la profferta agli altri partiti di massa: un accordo che veda insieme fascisti, socialisti e popolari.
E’ facile immaginare quanto in un movimento ancora eterogeneo ed anarcoide possano essere gradite queste mosse, che già preludono alla terza, la pacificazione con i socialisti, la fine della guerra civile strisciante che per quasi un anno ha colorato di sangue la penisola. Mussolini intuisce che i suoi sono arrivati alle soglie del potere sfruttando l’uso della forza ma che a lungo andare la violenza coagulerà contro di loro le altre forze politiche, a rischio di trasformarli in un movimento usa e getta, da gettare appunto ora che le sinistre non fanno più paura.
Gioco finissimo ma difficile da far intendere a uno squadrismo che certo non si distingue per abilità di manovra e che nel Santo Manganello ha trovato la base del potere dei Ras. Infatti, non lo capiscono neanche i fascisti aretini. Lupi è tra i deputati in camicia nera che in dissenso con Mussolini scelgono di partecipare comunque alla Seduta Reale. E la pacificazione con i socialisti è gradita come una razione di olio di ricino.
Il tutto avviene nell’ambito di una spaccatura del fascismo locale che si fa di settimana in settimana più evidente: da una parte l’ala di destra, che fa capo appunto a Lupi e agli squadristi valdarnesi, sostenuta dal giornale L’Azza, diretto da Giovan Battista Romboli, foianese, squadrista della prima ora, già latitante nella villa cortonese del senatore Lando Passerini, illustre dantista, dall’altra la componente più populista di Alfredo Frilli, segretario provinciale, vero padrone del capoluogo, che non nasconde le sue velleità sindacaliste e che alla fine riuscirà a far soprrimere l’Azza per dar vita a Giovinezza, storico giornale del fascismo aretino nel Ventennio.
A far precipitare la situazione sono i Fatti di Sarzana del 21 luglio, quando per la prima volta i carabinieri non si rendono complici degli squadristi ma gli sparano addosso, provocando 14 morti fascisti. Mussolini capisce al volo il cambiamento di vento e accelera le trattative del Patto di Pacificazione, che verrà firmato a Roma il 3 agosto. Ma lo squadrismo e i suoi ras non ci stanno, non vogliono rinunciare alla forza.
Il 31 luglio, quando il patto è ancora un’ipotesi, si riuniscono a Firenze i fascisti di tutta la Toscana. All’ordine del giorno più moderato del deputato Italo Capanni se ne contrappone un altro presentato da Renato Mannelli, del fascio di Terranuova, uomo di Lupi e del suo luogotenente Guido Bonaccini: è quello, firmato anche da Romboli ma non da Frilli, che viene approvato ed è un altolà contro l’accordo con i socialisti.
Mussolini non ci sente e va avanti. La reazione squadrista rischia di travolgerlo. Il 16 agosto si riuniscono a Bologna i fascisti emiliani, guidati da Dino Grandi. La parola d’ordine è chiara: chi ha tradito (il Mussolini del 1914) tradirà. Toscani e aretini tacciono, dichiarandosi disciplinati ma chiaramente del patto non vogliono saperne. Infatti le spedizioni punitive continuano. Finirà nel compromesso con i Ras: addio tacito alla pacificazione in cambio della trasformazione del movimento in un più disciplinato partito.
E’ a questo punto che si ribella Frilli, con una lettera indirizzata direttamente a Mussolini ed emblematica fin dalla domanda: siete ancora il nostro capo? Il leader del fascismo aretino rimprovera al Duce tre errori fondamentali: la tendenzialità repubblicana, il patto coi socialisti e la trasformazione in partito. Contestazione radicale insomma, ma finirà nel nulla. Ormai conta solo una cosa: la conquista del potere nazionale.