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Etruria, si allunga l’Appello. Otto nuove testimonianze

La procura generale di Firenze lascia cadere alcuni filoni d’accusa ma insiste su Rigotti, yacht di Civitavecchia e immobiliare Isoldi. Si riparte fra un mese.

Un operaio stacca la scritta Banca Etruria dalla sede storica di Corso Italia

Un operaio stacca la scritta Banca Etruria dalla sede storica di Corso Italia

AREZZO

Si allunga ancora il processo di appello per alcuni filoni del processo Banca Etruria. Ieri in Corte d’appello a Firenze il giudice ha stabilito di sentire altri otto testimoni per alcune delle operazioni che hanno portato al crac dell’istituto di credito aretino. Si torna in aula il 21 novembre con le prospettive per la sentenza che dovrebbe arrivare non prima dell’inizio del 2025. In primo grado fuorno tutti assolti, eccetto il finanziere Alberto Rigotti.

Sono 23 gli imputati e soltanto 5 rischiano ancora qualcosa per la bancarotta fraudolenta, gli altri 18 sono già certi della prescrizione anche se puntano alla conferma della sentenza, favorevole, di primo grado.

Nell’appello che è partito ieri gli imputati che hanno in teoria la graticola ancora bollente oltre al condannato Rigotti, sono Giorgio Guerrini (difeso dagli avvocati Stefano Tenti, Osvaldo Fratini e Filippo Alberti), Federico Baiocchi Di Silvestri (avvocati Lodovico Mangiarotti e Michele Bencini). Mentre sulle posizioni di Lorenzo Rosi (avvocati Neri Pinucci e Antonio Giunta) e Augusto Federici (avvocato Grazia Volo) la procura generale ha rinunciato all’appello per i filoni della Sacci e dell’outlet di Città Sant’Angelo, mentre si andrà avanti per lo yacht di Civitavecchia, l’immobiliare Isoldi e le vicende legate a Rigotti. L’atteggiamento del finanziere è stato considerato spregiudicato dai giudici tanto da arrivare a decidere per una condanna a sei anni.

L’immagine emblematica del caso Banca Etruria è quella della barca di lusso che non ha mai visto il mare. Costò all’istituto di credito 25 milioni di euro. Sui 60 milioni persi per l’investimento Sacci i giudici di primo grado – contrariamente a quanto sostenuto dalla procura – scrivono i giudici aretini che “nonostante le macroscopiche violazioni procedurali non appare tale da fuoriuscire dall’alveo del rischio del consentito”.

Per Villa Borromeo o Banca Etruria vide evaporare 21milioni di euro. In questo frangente però, secondo la sentenza di primo grado, “non emersero alert” e la cifra non superava una soglia che veniva ritenuta pericolosa. Nessuna dissipazione inoltre sarebbe stata da attribuire all’investimento per l’outlet di Città Sant’Angelo, che vedeva coinvolta “La Castelnuovese” di Lorenzo Rosi (che in seguito divenne l’ultimo presidente di Banca Etruria).