
Roberto Rossi
Arezzo, 10 aprile 2019 - Fu lui l'origine dell’inchiesta su Etruria per ostacolo alla vigilanza di Bankitalia e ora l’accusa spera che possa essere lui il supertestimone della svolta, quello che ribalta l’esito del processo in appello, trasformando in condanna l’assoluzione spuntata dall’ex presidente Giuseppe Fornasari, dall’ex direttore generale Luca Bronchi e dal direttore centrale dell’epoca, nonchè responsabile del risk management, Davide Canestri.
Non a caso, alla prima udienza del secondo grado, la procura generale chiede subito e ottiene di riaprire l’istruttoria dibattimentale per sentire Emanuele Gatti, noto anche come il «mastino» di via Nazionale, uno degli ispettori di punta di Banca d’Italia, l’uomo che rivoltò come un calzino la vecchia Bpel fra l’autunno del 2012 e il settembre del 2013, precipitandosi poi dal procuratore capo Roberto Rossi per consegnare copia della relazione ispettiva. Nella quale si segnalavano quelli che a parere di Gatti erano veri e propri reati e non solo irregolarità amministrative.
Non è bastato poi a ottenere una sentenza di condanna, perchè il 30 novembre 2016, con un verdetto che fece molto discutere, il Gup Anna Maria Lo Prete ritenne che non ci fosse niente di penalmente rilevante. Il capo-ispettore però non fu risentito nel corso di quel rito abbreviato, agli atti rimasero soltanto le sommarie informazioni testimoniali da lui rese nel corso delle indagini preliminari, bersagliate dalle difese senza che i Pm (lo stesso Roberto Rossi e Julia Maggiore) potessero portare Gatti in aula (la legge non lo prevede nei riti alternativi) a chiarire.
E’ evidente dunque il senso della mossa di adesso: far sentire ai giudici d’appello dalla viva voce dell’uomo di Bankitalia le contestazioni che lui stesso aveva ravvisato spulciando fra le carte di Etruria. Le si possono riassumere nei due capi d’imputazione contestati a processo. Da un lato i ritardi nella classificazione a crediti deteriorati dei prestiti non rientrati, il che avrebbe contribuito a far avvitare i conti della banca aretina poi sprofondata nel crac. Dall’altro lo spin-off della società Palazzo della Fonte con cui il vertice di Etruria cercò di migliorare i ratios patrimoniali della banca, cedendo ad acquirenti esterni gran parte dei beni immobiliari.
Un'operazione, quest’ultima, avvenuta mentre Bpel concedeva finanziamenti a società parallele di quelle acquirenti. Tutto in regola, sentenziò il giudice Lo Prete. Ma, ha ribattuto nel suo appello il procuratore Rossi, non erano i prestiti l’oggetto del capo d’imputazione bensì il fatto che Etruria non ne avesse dato comunicazione a via Nazionale, con ciò ostacolandone l’attività di vigilanza. Ora tocca a Gatti sostanziare questa impostazione. Lo farà nella prossima udienza, il 29 novembre. Sentenza d’appello probabilmente a febbraio. Ancora quasi un anno di graticola per l’ex vertice Bpel.