Salvatore Mannino
Cronaca

Ex Etruria: il giudizio su babbo Boschi slitta a febbraio, il maxiprocesso salta per Covid

Pierluigi arriva in aula col rammarico di essere caduto sull’ultimo paletto, le consulenze d’oro, dopo un percorso giudiziario netto

Pierluigi Boschi

Arezzo, 15 gennaio 2021 - A Palazzo di giustizia non l’ha visto nessuno, nè nessuno si aspettava di vederlo. Pierluigi Boschi, detto anche babbo Boschi, il padre più famoso d’Italia di una lunga stagione politicomediatico-giudiziaria, ha fatto della riservatezza una ragione di vita: da quando non è più vicepresidente di Banca Etruria, cioè dall’11 febbraio 2015, giorno del commissariamento, è praticamente sparito dalla scena pubblica, il telefono squilla a vuoto o staccato e non c’è stata persona capace di riferire di un suo commento, almeno di una sua reazione.

E’ singolare, dunque, che il signor Pierluigi si sia ritrovato al primo giorno di processo per le consulenze d’oro della sua ex Bpel proprio nelle ore in cui la figlia Maria Elena torna sul palcoscenico come braccio destro di Renzi che apre la crisi di governo, dopo che di lei si è parlato a lungo come di un possibile ministro, scenario al quale si oppongono fieramente i «nemici» a 5 stelle.

Oddio, si fa presto a dire processo: in realtà era soltanto un’udienza di smistamento nella quale un giudice onorario, Isa Maria Salerno, doveva fissare la data dell’inizio vero e proprio, davanti a un giudice togato, Ada Grignani, ieri impegnata in un altro dei dibatimenti Etruria, il principale sulla bancarotta, saltato, come si dirà poi, ancora per il Covid.

Fatto comunque: dopo la falsa partenza di ieri si va in aula per davvero il 18 febbraio. Babbo Boschi, insieme ad altri 12 ex consiglieri e dirigenti della fu Bpel, ci arriva col rammarico di chi è saltato sull’ultimo paletto del suo slalom giudiziario dopo quello che era stato un percorso netto.

Il vicepresidente padre, tra i primi iscritti nel registro degli indagati subito dopo il fallimento della banca, l’11 febbraio 2016, aveva schivato uno dopo l’altro tutti i filoni d’indagine, finchè non è incappato proprio nell’ultimo, quello sulle consulenze d’oro per 4 milioni affidate dall’ultimo Cda a grandi studi legali e commerciali. Incarichi costosi ma inutili, secondo la procura, a volte autentici doppioni.

Il reato è modesto, bancarotta semplice o colposa, la pena che rischia, insieme ai compagni di processo, quasi irrisoria, le prospettive di prescrizione prima che si giunga a sentenza definitiva alte. Probabilmente si farà in tempo ad arrivare al verdetto di primo grado, ma già l’eventuale appello appare come una scalata di sesto grado superiore.

Tra gli altri imputati il fior fiore dell’ultima versione di Banca Etruria: Alessandro Benocci, Rosanna Bonollo, Claudia Bugno, Daniele Ciabatti, Carlo Catanossi, Emanuele Cuccaro, Giovanni Grazzini, Alessandro Liberatori, Luigi Nannipieri, Luciano Nataloni, Annamaria Lapini Nocentini, Claudio Salini e Ilaria Tosti. Se la sono cavata invece per il principio del ne bis in idem l’ex presidente Lorenzo Rosi, a processo nel filone principale, e l’altro ex vice Alfredo Berni, già condannato per bancarotta fraudolenta col rito abbreviato.

A proposito di filone principale, ieri doveva essere un altro giorno a tutta Etruria con la ripresa del maxi-processo in corso ormai da oltre un anno e incappato nel Covid quando era già quasi in dirittura finale. Il virus è stato appunto la causa del nuovo rinvio, protagonista l’avvocato Daniela Rossi, difensore di Alberto Rigotti.

In aula l’ha raggiunta la notizia che il figlio era stato quarantenato come contatto di un compagno di scuola. Lì per lì, il presidente Gianni Fruganti ha tentato di andare avanti comunque, sentendo testimoni che con Rigotti non c’entravano niente, ma poi lei, sentito il cliente, ha avanzato istanza di legittimo impedimento, che ha costretto Fruganti a rinviare al 28 gennaio.

Si è giunti così alla soluzione che le difese avevano auspicato fin dalla vigilia, quando avevano richiesto di rimandare, con sospensione dei termini di prescrizione, che restano comunque lontanissimi. Il presidente aveva detto no, ma non aveva fatto i conti con la solita maledetta coda del Covid onnipresente. Persino nelle aule di giustizia.