
di Salvatore Mannino
Nel suo ultimo libro, "Serendipity", uscito a maggio per Slow Food, racconta "50 storie di successi (quasi tutti alimentari Ndr) nati per caso". Ma niente, anzi nessuno, più di Oscar (all’anagrafe Natale) Farinetti è una storia di successo. Al punto che lui, con la sua (ex?) catena, "Eataly", è diventato un simbolo del made in Italy gastronomico nel mondo. Come lo furono i grandi stilisti della moda negli anni ’80, simbolo della riscossa del paese, che usciva dagli Anni di Piombo, sul mercato del lusso. Anche la sua ultima creatura, "Fico", dieci ettari di stand nell’ex centro agroalimentare di Bologna, è diventato un fenomeno, preso d’assalto da milioni di persone.
Dire che Farinetti, nato ad Alba nel 1954, veniva da tutt’altro mondo. Innanzitutto quello partigiano delle Langhe di papà Paolo, che non stonerebbe forse in un romanzo di Fenoglio, politico e imprenditore che è all’origine del secondo mondo del figlio. E’ il padre infatti a fondare il supermercato Unieuro, che Oscar, abbandonata l’università senza laurearsi, come accade a tanti uomini di successo, trasforma in una grande (e ben nota) catena dell’elettronica.
E’ tipico dei grandi imprenditori, però, di annoiarsi fin troppo presto delle loro creature. Ecco allora che Farinetti, nel 2004, sulle soglie dei 50 anni, vende Unieuro a una multinazionale inglese per mezzo miliardo e si lancia in una nuova avventura, quella dell’agroalimentare. Lo fa appunto dando vita (ma prima aveva già rilevato un pastificio di Gragnano, la patria di spaghetti & C.) ad Eataly, che in inglese si legge come Italy ma contiene il termine eat, ossia mangiare. Il nome perfetto per quello che Oscar ha in mente.
C’è bisogno di dirlo? L’idea è quella di un cibo italiano ma di alta gamma, curato nella qualità, nei prodotti, nel marketing, distribuito in veri e propri empori diffusi in tutto il mondo. Il successo è subito dilagante. Gli "Eataly" si diffondono ovunque, soprattutto nelle capitali dell’occidente, vere e proprie Mecche di un ceto medio-alto internazionale per il quale mangiare italiano diventa uno stile di vita.
Identico spirito di fascinazione anche sul mercato interno, con i supermercati "Eataly" che crescono in tutte le grandi città italiane e attecchiscono persino come autogrill lungo le autostrade. A Firenze il punto vendita di via Cavour prende il posto della storica libreria "Il Marzocco". E forse è un segno dei tempi.
Farinetti è ormai un personaggio che va al di là dell’imprenditore. La politica gli strizza l’occhio, Renzi ne fa un simbolo della sua stagione politica. Lui sornione ci sta, non rinunciando ai suoi cavalli di battaglia, come il no agli Ogm. Il folletto che è in lui però è di nuovo voglioso di altre strade. Cede la catena ai figli e comincia a progettare "Fico", acronimo di Fabbrica italiana contadina, inaugurato nel novembre 2017 dal presidente del consiglio Gentiloni. Dentro ci sono 150 fra negozi e ristoranti, che coprono gli 8 ettari coperti. Il resto è lo spazio di una fattoria sperimentale. Meno di un anno dopo, a maggio 2018, i visitatori sono già un milione e mezzo, fatturato di 25 milioni.
Una cavalcata delle valchirie che avrebbe fatto la sua figura in "Serendipity", che Farinetti presenterà al Moby Dick sabato alle 21.. Non è un caso forse che l’editore sia lo Slow Food di un altro uomo delle Langhe come Carlo Petrini. Le storie di successo per caso vanno dalla Nutella ai corn flakes, dal Barolo allo champagne. Manca quella di Oscar, sarà al prossimo libro.