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Cronaca

Fiaccolata santa nella notte. Con le torce verso Camaldoli

Centinaia a piedi sui tre chilometri che dividono il monastero dall’eremo. A La Verna la veglia e i fuochi nella valle. Poi chitarre e festa fino a tardi.

Un momento della marcia verso l’eremo di Camaldoli nella notte più lunga

Un momento della marcia verso l’eremo di Camaldoli nella notte più lunga

di Lucia BigozziAREZZOFiaccole nella neve. La neve resistente di Camaldoli, la neve di Natale sopravvissuta al rialzo delle temperature di fine anno. Le fiaccole sono poi flambeaux, la luce sfavillante della candela è protetta da un semplice paravento di carta. Accese ad un braciere, illuminano la notte della fede. Un cammino di tre chilometri, quelli che dividono il monastero dall’eremo, arrampicato sotto il cielo color argento della foresta casentinese.

Qualcuno parte addirittura ancora prima, dal Montanino: una marcia che confluisce tra le celle di San Romualdo, in tempo per i riti della mezzanotte. È il Capodanno alternativo, senza tacchi a spillo ma con gli scarponi, la giacca a vento al posto di quella elegante. Lì non arrivano neanche gli echi dell’altro Capodanno, quello dei botti. La foresta è troppo impenetrabile per far passare quei suoni così lontani. Al centro i 150 giovani protagonisti del convegno di fine anno. Staccano dalle riflessioni ma proseguono la preghiera. "Attento che ti bruci": il clima della notte ogni tanto prende la mano, la voglia di far festa è in fondo la stessa delle discoteche, cambia solo la forma. Tra i canti ambientali ripetuti un metro dopo l’altro, difficili da seguire quando il serpentone si allunga nella neve e distanzia il primo dall’ultimo, vola anche qualche battuta.

Ma anche quella è festa, così come le guance in fiamme, per la fatica e il freddo e non per le torce, all’arrivo all’Eremo. I posti del coro vengono conquistati, qualcuno si appisola per un attimo, la preghiera continua. Lanciando un ponte straordinario da qui alla Verna. Un’altra veglia, una sede unica, la Basilica: inizia alle 23, attraversa come fosse una cascata, ma di fuochi, la soglia della mezzanotte. I più restano dentro e proseguono il momento forte della serata: qualcuno cede non al sonno ma alla curiosità di uscire. Per affacciarsi dal Quadrante, sul Casentino in fiamme, non per i fuochi della Resistenza stavolta ma per i botti lontani, che almeno qui arrivano. "Ciao mamma, auguri": difficile resistere a quel punto alla telefonata a casa. Ma poi i passi diventano impronte al contrario verso la Basilica, per completare il ritiro. E farlo confluire nella festa.

Le chitarre, le giacche a vento, le voci sciamano verso il Tau, il lato affidato all’accoglienza. Per raggiungerlo attraversano la pancia del santuario, sfiorano il museo, entrano nel chiostro, riescono all’aperto. Canzoni, balli, abbracci: De Gregori o Baglioni prendono il posto dei canti sacri, frati e suore si uniscono alla convivialità. Su un tavolo i pandori tagliati e un goccio di spumante. Intorno la notte gelata della Verna: anche qui chi arriva lo fa in largo anticipo, ma poi si va ad incrociare ai pellegrini della città e della vallata, in testa gli abitanti di Chiusi, il santuario è la loro seconda pelle, a volte la prima. La basilica è strapiena la notte, lo è altrettanto il salone del Tau. Tutti convocati dalle campane sciolte a mezzanotte per la grande festa, un po’ laica e un po’ religiosa. Le campane all’uscita dal tunnel del Covid erano state la colonna sonora della rinascita. Oggi tornano a dare del tu alle attese e alle speranze della fede.