![Italia Giacca, 83 anni, è un’esule istriana: nel 1948 raggiunse con la madre e la sorella maggiore il papà a Trieste, dove era scappato per sfuggire alle Foibe Italia Giacca, 83 anni, è un’esule istriana: nel 1948 raggiunse con la madre e la sorella maggiore il papà a Trieste, dove era scappato per sfuggire alle Foibe](https://www.lanazione.it/image-service/view/acePublic/alias/contentid/YTJmODQ2ZWUtOTExNy00/0/fuga-con-i-miei-per-le-foibe-italia-esule-dalleta-di-5-anni-quel-nonno-lasciato-in-paese.webp?f=16%3A9&q=1&w=1280)
Italia Giacca, 83 anni, è un’esule istriana: nel 1948 raggiunse con la madre e la sorella maggiore il papà a Trieste, dove era scappato per sfuggire alle Foibe
"Sono sempre un’esule". Lo è stata, quando era una bambina di 6 anni, costretta a lasciare con mamma e sorella maggiore la sua casa in Istria per raggiungere il suo papà a Trieste, finito nel registro nero dei condannati alle foibe "non perché fosse un fascista, ma perché era si sentiva un italiano, italianissimo. Tanto che mi ha dato questo nome". Ma Italia Giacca, 83 anni, che di qua dal confine segnato dall’orrore, in Veneto, si è costruita poi un’intera vita, si sente ancora oggi esule: "La nostra tragedia si compoine di tre fasi: le foibe, l’esodo che si trascina ancora e i 50 anni di silenzio fino alla Legge del Ricordo, del 2004. Ma, come dico ai ragazzi delle scuole che incontro, questa è storia d’Italia, quella era una regione italiana che è stata strappata con violenza alla sua patria".
Presidente onoraria dell’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (Anvgd), giovedì è stata ad Arezzo per l’inizio delle celebrazioni in vista della Giornata del Ricordo, lunedì 10 febbraio. "Alla città mi lega una conoscenza, diventata poi amicizia, con il generale Dal Piaz: nel 2017 sono venuta all’Accademia Petrarca per raccontatre la mia storia, poi sono tornata per l’inaugurazione, l’anno dopo, del monumento in Piazza Martiri delle Foibe e altre volte. Qualche giorno fa ho anche incontrato i ragazzi dell’istituto musicale".
Proprio Dal Piaz ricorda la prima volta che l’esule istriana venne in città: "Sette anni fa alcune persone si riunirono nel Gruppo della Memoria, per la costruzione del monumento. Giacca mi mise in contatto con il sindaco di Trieste perché ci servivano le pietre carsiche originali, che ci sono state regalate. È testimone vivente di una tragedia che ha coinvolto più di 100mila person, ne restituisce il senso vero".
Italia Giacca ha trovato in Arezzo una terza casa. Perché, come ci racconta, ha vissuto "tre esodi: sono nata in un piccolo paese dell’Istria, Stridone, dove nacque anche San Girolamo. Ho avuto un’infanzia felice, per quanto ricordo". Aveva 5 anni, nel ’47, il papà non c’era, rimasto a Trieste perché destinato a essere infoibato. "Mamma voleva raggiungerlo con un’autorizzazione che non arrivava mai, venivano a cercarlo armati".
Il permesso di partire per la giovane donna e le due figlie piccole arriva dopo un anno. "Era il 28 giugno 1948, la mamma mi dice di salutare il nonno, noi saremmo andate via, lui no. Troppo vecchio (allora a 60 anni eri vecchio) per andare con loro, non voleva lasciare la sua terra, la sua casa. Ricordo il suo abbraccio- dice emozionata - quando mi disse ’Povero mi, non ti vedrò più’. Io non ci credevo, pensavo che sarei tornata. Partimmo a piedi e quando vidi il mio paese sparire il dolore mi travolse. È stato il primo esodo".
Rimasta a Trieste fino alla laurea e al matrimonio, poi trasferitasi in Veneto, "quando ho avuto 28 anni come mia mamma quando scappammo mi sono chiesta se io sarei stata disposta a fare quello che i miei genitori fecero all’epoca. Lì ho capito che erano mossi da ideali forti di democrazia, libertà e pace, il valore del sacrificio di mia madre, ho sentito il suo dolore. Ecco il secondo esodo".
Infine il terzo, riconoscendosi nella sua nipotina di 6 anni che l’abbraccia felice chiamandola nonna: "Mi sono ricordata quella bimba che ero stata quando nel ‘48 avevo salutato mio nonno,promettendogli: ci rivedremo. Lui è rimasto, ma è stato privato di tre libertà: non poteva parlare italiano; che non poteva professare la sua religione, e fu costretto a cambiare tre volte cognome, diventò Jakac".
E Italia, invece, che valore attribuisce al suo nome? "È impegnatovo ma dà il senso della scelta di mio papà. Ne sono molto orgogliosa".