"È Giubileo: e ora camminiamo insieme". Il Vescovo si affaccia su una Cattedrale affollata ben oltre la Madonna del Conforto, piena fino al sagrato e che per una volta straccia perfino le code alla ruota panoramica o alla luna bella ma finta del giardino pensile della Provincia. Poco prima si era affacciato sulla porta centrale spalancata davanti alla processione, partita da San Domenico. "Camminiamo in un mondo che vive una terza guerra mondiale a pezzi e che non risparmia i bambini innocenti, in un mondo che vede ancora persone morire lungo le strade per il freddo e per la fame". Non c’è fame e neanche troppo freddo intorno alla processione solenne. Che infila via Sassoverde, accarezza il portone chiuso del Thevenin, si allarga in via Ricasoli. E da piazza della Libertà incrocia le vesti bianche dei sacerdoti con i bicchieri, i brindisi, le tazze di cioccolata calda di Eurochocolate. "In un mondo dove perfino chi rischia la vita per lasciarsi alle spalle la fame e la guerra non è riconosciuto come essere umano". Migliavacca, con la pacatezza di sempre, non smette i panni drastici indossati da Natale. Dedica le parole più intense, ben sapendo quanto siano divisive, ai migranti. Così come nel finale della Messa apre i luoghi giubilari al carcere. "A fine gennaio la lampada del Giubileo entrerà al San Benedetto". Una lampada al posto delle luci che si spengono ogni sera nelle celle, spesso tra gli occhi sbarrati di chi all’interno fa fatica a dormire. Al fianco del vescovo Andrea c’è il suo predecessore Riccardo Fontana, ci sono gli emeriti Franco Agostinelli e Italo Castellani, presuli aretini. Davanti alcune autorità, in testa il prefetto e il questore, e soprattutto un mare di folla che cresce, parte della quale si rifugia, come sempre nella storia aretina, nella cappella della Madonna del Conforto. Dai monti sono scesi quasi tutti i frati della Verna e i monaci di Camaldoli: le loro vesti si confondono tra le altre, a ridosso degli affreschi che sormontano Papa Gregorio X, uno dal bosco dell’eremo e l’altro dal sasso delle stimmate. "È Giubileo ed è tempo di buone notizie" scandisce il vescovo. Una su tutte. "È tempo di pellegrinaggio diocesano verso Roma e di conversione spirituale: ma non siamo noi a compiere questo percorso". Come dire, la conversione fa parte dell’indulgenza giubilare ma anche chi non si pente è accolto lo stesso. Il vescovo sembra marcare per una volta la differenza tra il mondo che sta fuori e quello che sta dentro, ma è una distanza che non vuole.
Alle sue spalle c’è anche un grande albero di Natale, con lucine e palline, e fa sembrare minore la forbice tra la Cattedrale del Giubileo e la Città delle feste. Fontana è a ridosso dell’albero, a due passi dal pulpito di Vangi che aveva voluto in Duomo, contro tutto e contro tutti. Il clero è qui in forze e mostra come ormai rappresenti o almeno arrivi da tutti i popoli del mondo. Un pezzetto del Giubileo è anche nei diversi colori della pelle, nelle diverse tradizioni, che si incrociano intorno a quell’altare. Ci sono rappresentanze di Rondine tra la folla, quella Rondine scelta a sorpresa come luogo giubilare, così come la cappella dell’ospedale San Donato o lo stesso carcere. La cometa per ora resta appollaiata sul sagrato, il vescovo sfila tra le migliaia di luci e con lui tutta la processione che prima della Messa colora la strada.
Ma la vuole in viaggio anche lei, dalla Cattedrale al Santuario delle Vertighe, da quello di Santa Margherita all’Eremo di Montecasale, dal Santuario della Verna all’Eremo di Camaldoli, dalla chiesa di Castelnuovo Berardenga alla Cappella dell’Ospedale e alla Comunità di Rondine. "What a wonderful world" sussurra un cantante dalla terrazza della Provincia. E non sai più dove inizi quello giubilare e dove finisca quello di Natale.