Arezzo, 9 novembre 2019 - Chi è il capo dei Pm aretini? Non più Roberto Rossi, silurato dal Csm che ha votato inopinatamente per non confermarlo, con una decisione capace di far arrabbiare persino gli azzerati, non ancora Elisabetta Iannelli, il sostituto anziano che dovrebbe subentrargli come facente funzione in attesa che venga bandito ed espletato il concorso per il nuovo procuratore.
L’interpretazione prevalente, almeno a Palazzo di giustizia, è che per formalizzare il cambio della guardia serva un decreto del presidente della repubblica controfirmato dal ministro, come succede per la nomina di un procuratore. E quello ancora non c’è. Nel frattempo, per evitare situazioni imbarazzanti per tutti, Rossi si è messo in ferie, con l’effetto di far comunque subentrare la collega Iannelli.
Ma in procura è facile intuire il clima di incertezza che si respira in un ufficio fino a pochi giorni fa orgoglioso del suo ruolo di punta di diamante del palazzo di giustizia. E’ vero infatti che al terzo piano del Garbasso c’è il pieno organico (otto magistrati sugli otto posti previsti) al contrario del tribunale falcidiato dai vuoti e dai trasferimenti, ma è vero anche che negli ultimi anni la procura è stata protagonista di un poderoso sforzo, che ha portato a tutti i processi dell’intricatissimo caso Etruria, dall’ostacolo alla vigilanza (assoluzione che va in appello a fine mese) alla bancarotta (prime condanne in assoluto ottenute in Italia per i crac delle quattro banche messe in risoluzione nel 2015), dal maxi-processo, ancora per bancarotta, che è ancora in corso, alla cosiddetta truffa sulle subordinate, conclusa con esito alterno: condanne (pure qui le prime) ma anche assoluzioni eccellenti.
In più ci sono i casi ancora in sospeso: il falso in prospetto sulle obbligazioni poi azzerate per il quale si va in aula a dicembre e la bancarotta semplice contestata nell’avviso di chiusura indagine per il filone delle consulenze d’oro. Qui, entro Natale potrebbero arrivare le richieste di rinvio a giudizio. Un lavoro di dimensioni inusitate per una procura di provincia.
Qualcuno ricorderà che agli albori del caso Etruria, qualche politico avanzò la proposta di riservare i casi di questo genere a sezioni specializzate, i Pm aretini invece hanno dimostrato di sapercela fare da soli. Il tutto con un’organizzazione, quella messa in atto da Rossi, sulla quale neppure l’ispezione ordinaria inviata a suo tempo dal ministro della giustizia Alfonso Bonafede ha avuto alcunchè da eccepire.
Se si aggiunge che per strada i Pm si sono trovati alle prese con un’altra inchiesta spinosa, che fa tremare la politica aretina, come quella su Coingas, si capisce quanto grano sia stato macinato nel mulino del terzo piano, ma tutto ciò non ha impedito a Pier Camillo Davigo e poi al Csm di terremotare l’ufficio. E’ altra faccia appunto della crisi della giustizia aretina, un piccolo gioiello trasformato in fondo di bottiglia.
Ora gli scenari sono due: se Rossi vince il ricorso al Tar del Lazio e ottiene la sospensiva della delibera (la decisione potrebbe arrivare entro la fine dell’anno) torna al suo posto con tutti gli onori, anche se dovrà cominciare a guardarsi intorno in cerca di un altro incarico, perchè qui la scadenza dei suoi otto anni si avvicina. Se perde, invece, non rimane altra strada che l’arrivo di un altro procuratore. Chi possa esserlo è impossibile dirlo. Ma è comunque emergenza.