SILVIA BARDI
Cronaca

Gli aretini rivogliono l'Hospice: raccolte oltre duemila firme. Vola la petizione

Lanciata dall'ex primario Pierdomenico Maurizi sulla piattaforma Change raccoglie firme per chiedere al presidente Giani di trovare una sede definitiva. Per il Covid sono stati smantellati una struttura e uno staff che erano il fiore all'occhiello per le cure palliative e il fine vita. Oltre 250 famiglie sono state aiutate in meno di due anni

Come era l'hospice di Arezzo con il suo staff e i cani della pet therapy

Arezzo 13 aprile 2021 - Il primo obiettivo era la raccolta di cinquecento firme, ampiamente superate in poche ore sulla piattaforma https://www.change.org/. Adesso si punta a 2500 e forse non si fermeranno nemmeno lì. Sono gli aretini, e non solo, che stanno firmando la petizione pubblica avviata dall’ex direttore dell’Hospice aretino Pierdomenico Maurizi per chiedere al presidente della Regione Domenico Giani di trovare una sede definitiva e dignitosa, come e anche più efficiente di quella realizzata nella palazzina Calcit poi spostata all’inizio della pandemia. Ha cambiato sede  tre volte e tutte le volte con enormi disagi per i pazienti e le famiglie che ne hanno avuto bisogno e per il personale. Inoltre è stata dispersa una squadra di operatori e infermieri di grande preparazione e di infinita umanità, doti essenziali quando si parla di cure del dolore e di fine vita. In poche parole gli aretini rivogliono il loro Hospice e sempre ad altissimi livelli. Che lo fosse lo testimoniano ancora oggi le lettere e i ringraziamenti che erano affissi nella bacheca nella palazzina Calcit. L’introduzione della per therapy per il personale aiutandolo ad essere sempre pronto nel sostenere famiglie e pazienti nei momenti più delicati della loro vita fra l’altro in un ambiente accurato in ogni dettaglio, 600 metri quadrati, sei stanze, una cucina in comune per chi assisteva. 

Adesso nella palazzina Calcit è tornato il Centro Oncologico ma l’Hospice ha bisogno di una sede, nuova e definitiva. 

“L’Hospice è la struttura sanitaria che accoglie le persone a fine vita, quando l’assistenza non è possibile a casa e quando non è più indicato il ricovero in ospedale - spiega il dottor Maurizi che l’ha creata insieme al Calcit e ha lanciato la petizione - l’Hospice deve ricordare il più possibile agli ospiti la casa e quindi deve essere costruito secondo caratteristiche ben precise normate sia dal Ministero che dalla Regione. Non è semplicemente una fila di camere lungo un corridoio. Ogni camera deve somigliare alla camera di casa e non alla camera di un ospedale. Devono esserci spazi confortevoli sia per i malati che per i loro familiari. L’organizzazione ed i ritmi dell’Hospice sono dettati dal comfort degli ospiti invece che dalle esigenze degli Operatori ed è anche per questo che la parte cosiddetta alberghiera deve essere particolarmente curata. Tutto questo è assolutamente indispensabile per poter accompagnare al meglio il malato nel suo ultimo percorso, con dignità e senza sofferenze”.

L’Hospice di Arezzo fu finanziato nel 2000 dal Ministro Rosy Bindi, ma è stato realizzato solo nel 2017 ed è diventato operativo solo nel gennaio 2018: diciotto anni. Ricordiamolo, arredato come una casa grazie anche ai quadri realizzati apposta dagli studenti del liceo artistico. Un progetto che ha coinvolto la città e per gli aretini un fiore all’occhiello, di cui hanno usufruito oltre 250 famiglie. Vi operavano sette  infermieri, 6 oss, un medico e i volontari dell’Avad, gli unici autorizzati ad entrare nella struttura per sostenere pazienti e familiari, e del Calcit. Nel marzo 2020, in piena crisi emotiva da pandemia, l’Hospice è stato fatto traslocare  per far posto alla Unità Operativa di Oncologia ed è iniziata una vera e propria peregrinazione. Da allora ha già cambiato due sedi, provvisorie, nella rsa di Pesciaiola gestita dalla Koinè e alla clinica San Giuseppe, ma senza le caratteristiche proprie dell’Hospice, e si prospetta un altro trasferimento.

 “A più di un anno dallo sfratto, non esiste ad oggi né un progetto concreto né una previsione di spesa per un nuovo Hospice - denuncia Maurizi - è del tutto evidente, che al di là delle dichiarazioni politicamente corrette, in realtà ai decisori non interessa  il fine vita e men che meno la qualità del morire. Queste cose evidentemente interessano solo al morente ed al suo contorno parentale ed amicale, ma sono tutti cittadini invisibili e inascoltati che diventano tali proprio nel momento della loro maggiore fragilità e dell’ultima richiesta che fanno al servizio sanitario. Arezzo e gli aretini hanno dovuto aspettare diciotto anni dal suo finanziamento  per avere l’Hospice e quanto dovranno ancora aspettare per tornare ad avere il diritto, riconosciuto in tutte le altre realtà toscane, a morire con dignità e senza sofferenza qualora dovesse servire l’Hospice ? E’  eticamente e socialmente  accettabile essere privati  di un servizio come l’Hospice capace di declinare il grado di civiltà di una comunità?”.

Tante le proteste dal Calcit ai sindacati ai cittadini alle varie componenti politiche. Tra  le proposte l’inserimento dell’Hospice nella cittadella della salute al Pionta, è stata ipotizzata un’area all’interno dell’ospedale o una nuova costruzione da realizzare con la Regione Toscana utilizzando i soldi del Recovery Plan o addirittura Agazzi.

Chiaro e categorico il pensiero del Calcit: “Il nuovo Hospice dovrà essere la prima pietra per il rilancio post Covid della sanità pubblica aretina ed essere un impegno di tutta la città. L’Hospice non può partire da una ricerca di un immobile, ma dovrà essere pensato, progettato e costruito per soddisfare i criteri richiesti ma sopratutto adeguato a far trascorrere quel tempo in un ambiente familiare ed intimo  insieme ai propri cari. L’Hospice ha bisogno di un luogo di quiete ed il più vicino possibile all’ospedale per usufruire velocemente dei servizi che in tanti momenti occorrono, e quindi pensiamo che debba essere costruito o ex novo o adeguando immobili di proprietà pubblica della Asl che si trovano dietro al Centro Oncologico Calcit che nell’insieme sono oltre 4mila mq ed allo stesso tempo ridare a quello spazio uno stato decoroso e sicuro. Prescindere dalla valutazione di questa ipotesi e andare alla ricerca di altre soluzioni significa girare intorno al problema, perdere ulteriore  tempo prezioso e lasciare un degrado inaccettabile a ridosso della struttura sanitaria pubblica”.