Arezzo, 13 dicembre 2017 - Ventincinque anni. Padre Graziano esce dal processo in appello con una sentenza che in pratica ricalca quella in primo grado: c'è solo una riduzione di due anni della pena. Ma è una sentenza che conferma il castello accusatorio e mantiene la condanna per omicidio e occultamento di cadavere.
E' stato lui anche per i giudici del secondo grado a uccidere Guerrina Piscaglia, la donna scomparsa da anni e della quale non è mai stato ritrovato il cadavere.
Sconsolato il condannato all'uscita dall'aula. "Mi dispiace, non ho niente contro i giudici ma sembra una giustizia basata sul razzismo: fin dall'inizio della seduta ho sentito l'intenzione di condannarmi, fino alla richiesta al mio avvocato di tagliare i tempi della difesa". Però si professa innocente e insiste. "Ho fiducia nella Cassazione, spero che la verità finalmente verrà a galla".
«Siamo soddisfatti della sentenza, la diminuzione di due anni riguarda probabilmente una questione tecnica, non significa che il fatto sia stato giudicato meno grave». Lo ha detto l'avvocato Nicola Detti, legale di Mirko Alessandrini, marito di Guerrina Piscaglia e del figlio Lorenzo. «Sicuramente il processo finirà in Cassazione - ha aggiunto -, e noi andremo fino alla fine per Lorenzo e per Mirko». Il marito di Guerrina Piscaglia era in aula e ha assistito alla sentenza, accolta con le lacrime agli occhi. Ha abbracciato e ringraziato i suoi legali, poi ha lasciato il Palazzo di Giustizia di Firenze senza rilasciare dichiarazioni.
I legali di padre Gratien Alabi, gli avvocati Riziero Angeletti e Francesco Zaccheo, hanno annunciato l'intenzione di presentare ricorso in Cassazione contro la sentenza di condanna di secondo grado a 25 anni di reclusione pronunciata oggi dalla Corte di Assise di appello di Firenze. «Siamo rispettosi di questa sentenza - ha affermato Angeletti - ma diciamo che ci sono stati dei pregiudizi. Quando si inizia un processo dicendo che la difesa può parlare solo due ore e quindici minuti si crea un condizionamento che impedisce di dire tutto ciò che si vorrebbe. «La Cassazione - ha precisato infine Angeletti confermando l'intenzione di presentare ricorso - non è nuova a ribaltamenti«
In mattinata il sostituto procuratore generale Luciana Piras areva già chiesto la conferma della condanna a 27 anni dopo una dura requisitoria. Dopo Luciana Piras era intervenuto l'altro Pm, l'aretino Marco Dioni, grande protagonista dell'accusa nel primo grado, oggi applicato in appello.
Intorno alle 13 era iniziata l'arringa dell'avvocato difensore Riziero Angeletti. Al termine della quale ha chiesto l'assoluzione per il suo assistito per non aver commesso il fatto. Ed è cresciuta a quel punto la sensazione che si arrivasse a sentenza in giornata. «L'invito del presidente a limitare il mio intervento alle due ore e un quarto, considerata la sommatoria delle discussioni dell'accusa e delle parti civili, fa pensare che si voglia chiudere in giornata» aveva commentato proprio Angeletti «Sarebbe assurdo - ha detto - limitarmi e poi rinviare per le repliche». E in effetti la sentenza è arrivat, pochi minuti prima delle 18.
L'imputato, ancora agli arresti domiciliari in un convento di Roma oggi era arrivato al Palazzo di Giustizia in taxi, senza scorte, insieme ai suoi avvocati, lo stesso Angeletti, su cui ricadreva ancora una volta il peso principale della difesa, e Francesco Zacheo: davanti il Pm Marco Dioni, applicato in appello, il cui teorema d’accusa era per Padre Graziano lo scoglio principale da doppiare per salvarsi dalla conferma della condanna. Ma non ce l'ha fatta.
Di nuovi ci sono il presidente della corte d’assise d’appello, Alessandro Nencini, lo stesso che condannò Amanda Knox, e l’altro Pm, Luciana Piras, sostituto procuratore generale che si avvaleva appunto anche dell’esperienza di Dioni. La difesa chiedeva di riaprire il dibattimento e di riascoltare tutti quei testimoni che erano stati sentiti in incidente probatorio durante le indagini preliminari, mai tornati in aula. Ma la richiesta non è passata.
Primo fra tutti Padre Hilary Okeke, il sacerdote nigeriano destinatario del celeberrimo sms che resta la principale pietra su cui è costruito il verdetto di primo grado. E poi Cristina Repciuk, che racconta di aver avuto una relazione con il frate più sospettato (e ora condannato) d’Italia, e le due nomadi perugine che hanno raccontato di aver fatto sesso con lui.
Lo scopo era evidente: intanto ripulire di Padre Graziano da quell’immagine di religioso gaudente e dedito ai peccati della carne che gli è rimasta attaccata, e poi andare all’assalto del teorema Dioni. La costruzione accusatoria, cioè, cui il Pm ha lavorato durante le indagini preliminari e il primo processo e che ticchettava sinistramente sul capo dell’ex viceparroco congolese di Ca’ Raffaello, enclave aretina in provincia di Rimini. Si basa sul sms che Padre Okeke ricevette alle 17,26 del 1 maggio 2014, il giorno della scomparsa di Guerrina, ingoiata come da un buco nero.
Parte dal cellulare di lei e dice: «Sono scappata con il mio amorozo marocchino». In tutta questa storia Okeke non c’entra per niente, se non per aver conosciuto il Frate, la casalinga di Ca’ Raffaello non l’aveva mai sentito nominare. Dioni e gli inquirenti ne traggono un sillogismo: fu Padre Graziano, confondendo due righe della sua rubrica, a mandare a lui il messaggio destinato alla catechista del paese. Ma se è così, vuol dire che aveva in mano il telefono di Guerrina e nel caso non può che essere l’assassino. E questa soluzione ha fatto breccia anche nella corte d'appello.
E’ evidente che provare a smontare questo quadro accusatorio, risentendo anche Okeke, era il solo modo per la difesa di salvare il Frate, anche se Angeletti dice che gli indizi resterebbero comunque contraddittori. Ora la partita si sposta in Cassazione, dove la difesa ha tutte le intenzioni di riproporre le proprie tesi.