Claudio
Santori
Correva voce intorno al 1030 che un monaco pomposiano, eremita in Arezzo, avesse elaborato un metodo per mezzo del quale si poteva intonare un canto senza averlo mai udito prima (sine magistro). Una rivoluzione epocale, se verificata, perché fino ad allora per imparare un canto bisognava ascoltarlo da uno che lo conoscesse. Il papa Giovanni XIX era un buon cantore e volle verificare la correttezza di quel procedimento: chiamò pertanto a Roma il monaco il quale organizzò l’esperimento con pieno e clamoroso successo: da quel momento la musica occidentale, dopo quasi due millenni di balbettamenti grafici, iniziava la sua irresistibile ascesa: il tetragramma e la solmisazione funzionavano egregiamente!
Il monaco era Guido il quale con linee e punti aveva registrato un fenomeno fisico, l’altezza dei suoni, 600 anni prima di Cartesio! Non esistono documenti relativi alla data e al luogo di nascita di Guido Monaco, che è il secondo dei personaggi rappresentati da Adolfo De Carolis nel gigantesco affresco che copre tutta la parete di fondo della Sala dei Grandi della Provincia. Per la data Antonio Samaritani ha ipotizzato il 1000 tondo tondo. Per il luogo, tre sono le tradizioni più accreditate: Ferrara, Arezzo e Talla (mette appena conto di sottolineare il fatto che se Guido fosse nato a Talla sarebbe aretino una volta per tutte).
Guido d’altra parte è esplicitamente detto aretinus fin dal 1105, anno in cui Sigeberto Gemblacense compose la sua Chronica aa. 1024- 103, e un’effettiva origine del Monaco dal territorio aretino pare non possa negarsi. Talla ha indubbiamente un’ottima carta da giocare: l’Abbazia di Santa Trinita, l’imponente cenobio dove un bambino geniale nato nel circondario avrebbe ben potuto cominciare gli studi ed acquisire una solida e completa dottrina. Talla rimane comunque benemerita degli studi guidoniani, non perché rivendica la circostanza di aver dato i natali a Guido Monaco, ma per aver aperto nel 1994 le celebrazioni guidoniane con l’organizzazione di un convegno, battendo tutti sul tempo, tanto da aggiudicarsi due intere pagine dedicate a Guy d’Arezzo, le père de la musique! da parte dell’autorevole Le Monde (21 luglio 2000, pagg. 10 e 11).
Ristrettezze finanziarie non consentirono al Comune di Talla di pubblicare gli atti del convegno fino al 2000, in concomitanza pertanto con gli atti del convegno che fu tenuto a Codigoro (3 ottobre 1997 e ad Arezzo (29-30 maggio 1998). Angelo Rusconi nella sua edizione degli scritti di Guido d’Arezzo (Sismel - Ed. del Galluzzo 2005) ignora il convegno di Talla, stranamente in quanto gran parte dei saggi presenti nel volume degli atti del convegno di Talla sono stati dai rispettivi autori riprodotti pari pari negli atti del convegno di Codigoro-Arezzo!
Recentemente è stata focalizzata l’attenzione sul distico XC di S. Pier Damiani, che reca il titolo De illo qui nutritus Aretii, Pomposiae abbas fuit. Potrebbe trattarsi del Guido che ebbe due abbaziati a Pomposa, ma giustamente il Samaritani ritiene che si tratti di Guido Monaco che fu anch’egli abate di Pomposa, seppure “suffectus”.
Il Damiani d’altra parte era decisamente fautore dell’impero e definiva Gregorio VII “sacro Satana”, mentre Guido fu sempre allineato con il Papa. Se di Guido Monaco si tratta, il nutritus lascerebbe ben pochi dubbi circa la nascita in Arezzo o nel territorio aretino, essendo chiaramente allusivo, conformemente all’uso medievale, al latte materno.
Secondo il Samaritani Guido Monaco potrebbe non essere morto, come universalmente si crede, nel 1050 nel convento di Fonte Avellana, ma molto più tardi, intorno al 1080, a Ravenna dove si era ritirato dopo essere ritornato per qualche tempo a Pomposa che del resto partecipò alla gigantesca lotta fra papato e impero, che avrà uno dei suoi punti culminanti nel celebre episodio di Canossa fra Enrico IV e Gregorio VII (gennaio del 1077): per i monaci allineati sulle posizioni del papato Guido fu sempre un faro di luce e un punto di riferimento. Merita infine una particolare attenzione il famoso passo dell’epistola al confratello Michele, dove Guido dichiara esiziale il caldo torrido di Roma definendosi nella variante riportata dal Gerbert “uomo delle paludi” (nobis alpestribus: PL, 141,c. 424) e in quella riportata dal Federici “montanaro” (nobis alpestribus: Rerum, 1,305). Ovviamente mentre la lezione palustribus porterebbe verso l’origine deltizia di Guido (per quanto anche Arezzo fosse allora impaludata per un buon tratto verso il Casentino!) la lezione alpestribus escluderebbe del tutto Pomposa. L’edizione critica dell’epistola, curata da Dolores Pesce, ha indicato quest’ultima come più probabile, chiudendo definitivamente la questione: anche il Rusconi l’accetta.
Di Guido abbiamo anche la firma autografa individuata da Angelo Mafucci ed avallata da Giacomo Baroffio nell’autorevole Rivista Internazionale di Musica Sacra (vol. XXI, luglio 2000). L’invidia dei monaci non allineati con Gregorio VII (Guido fu sempre fedele al papa e tenne sempre a qualificarsi eremita), avallata anche dall’abate Guido (che più tardi si pentì di aver dato credito alle maligne voci) lo costrinse ad allontanarsi nel 1025, quando decise di recarsi ad Arezzo accolto a braccia aperte dal vescovo Teodaldo, grande protettore di intellettuali ed artisti ed animatore del centro culturale e religioso presso la cattedrale aretina che sorgeva allora sul colle del Pionta ed aveva una fiorente scuola di canto.