Arezzo, 24 ottobre 2024 – “Ciao”. Un cenno con la mano, gli occhi a cercare i suoi. Ha appena ascoltato la parola più dura: ergastolo. Udienza lampo in Corte di Assise, un’ora per decidere se confermare o respingere la sentenza di primo grado. I giudici confermano: ergastolo. Il padre accenna un saluto al figlio ma lui, Anis, risponde con un gesto che vuol dire: è finita, finalmente non ci vedremo più.
“Ora giustizia è fatta: lui ha ucciso due donne che lo hanno sempre aiutato. Purtroppo non potranno più tornare qui, con noi, ma almeno posso dire che oggi è stata fatta una cosa giusta, per loro, per tutto quello che hanno patìto”. Nessun contatto con il padre e il tentativo di Jawad “una ventina di giorni fa è stato respinto: ha provato attraverso gli assistenti sociali ad avere un incontro con Anis, ma lui ha rifiutato come ha fatto fin dall’inizio”, spiega lo zio. E Anis mette il sigillo: “Per me non esiste, mi fa pena per quanto è caduto in basso”. Nessun contatto, mai più. Al punto che Anis ha già presentato i documenti per il cambio di cognome. “Assumerà quello della nostra famiglia e di sua madre: Ruschi”, spiega Alessandro che dopo la sentenza abbraccia il nipote accolto nella sua casa da quella notte maledetta, insieme alla sorellina che oggi ha tre anni e mezzo. Anis vive con il nonno Enzo, “lui è molto provato dalla perdita della figlia e della compagna”. Guarda il padre nel gabbiotto degli imputati; il padre che nei suoi sogni aleggia, facendo delle sue notti un incubo, colpendo di nuovo i suoi affetti.
Guarda il padre e quelle sbarre che loi rassicurano, sciogliendo la sensazione di pericolo in un sollievo, allentando la morsa di un uomo che dalla notte del delitto sente ancora come uno spettro sulle sue ritrovate sicurezze di ragazzo strappato brutalmente all’adolescenza”. Anis vuole andare avanti e lo fa con con l’entusiasmo dei suoi giovani anni anche se il pensiero della madre lo accompagna ogni giorno: “Nella mia camera ho appeso alle pareti tutti i suoi disegni”, racconta. Sara amava disegnare: profili femminili, immagini eteree, ma nei volti un velo di tristezza. Lo stesso velo calato sui suoi occhi scuri, per quella relazione ormai al capolinea e la preoccupazione di due figli da crescere. Sara lavorava in un albergo a Castiglion Fiorentino, apprezzata da tutti per il suo impegno e l’umanità. “Partiva da casa al mattino presto e rientrava la sera, per portare a casa lo stipendio necessario a mandare avanti la famiglia. Brunetta l’aiutava in casa e con i figli. Lui non faceva niente tutto il giorno”, rievoca Alessandro.
Anis oggi ha 18 anni ma ne aveva due di meno quando ha vissuto la notte della mattanza. Ha visto la madre Sara Ruschi adagiata sul letto ferita a morte da ventitrè coltellate sferrate dal compagno Jawad Hicham. Ha tentato di soccorrerla, le ha tamponato le ferite con un asciugamano, tentato di rianimarla, poi ha chiamato i soccorsi. Ha visto la nonna, Brunetta Ridolfi, accasciata a terra: tre coltellate che non le hanno lasciato scampo, proprio mentre stava cercando di difendere la figlia. Ha preso in braccio la sorellina ed è uscito, giù per le scale del palazzo me mentre il padre in strada aveva chiamato il 112 da una cabina telefonica: “Ho commesso un reato enorme”. Tre minuti di orrore e follia nell’appartamento che affaccia su Porta San Lorentino.
Anis guarda il padre mentre esce dall’aula e torna in carcere con la parola “ergastolo” appiccicata addosso. Quel saluto accennato al figlio, per lui è già il passato. Che non ritorna.