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Cronaca

"Ho visto la morte in faccia tre volte". I 101 anni dell’ultimo partigiano. Quei fucili sotto il naso dei tedeschi

"Li portavamo nascosti insieme col prosciutto e i viveri: mi bloccarono ma non perquisirono il carretto". Poi i brividi sul lavoro e a caccia. Il giorno più brutto? "Quando fu abbattuta nel 1944 la Torre di Berta".

In alto: Gherardo Dindelli ex bersagliere con gli amici In basso: il sindaco Innocenti gli consegna un riconoscimento

In alto: Gherardo Dindelli ex bersagliere con gli amici In basso: il sindaco Innocenti gli consegna un riconoscimento

di Claudio RoselliAREZZOIn gergo si dice: "Abbiamo fatto 30, ora facciamo 31". Lui invece ha già fatto 100 e ieri è arrivato a 101, tanti sono gli anni che porta splendidamente Gherardo Dindelli, l’ultimo partigiano di Sansepolcro rimasto in vita e nato l’11 gennaio 1924.

Dodici mesi fa, la festa fu talmente solenne che a parenti e amici si unirono ben quattro sindaci del Borgo: quello attuale, Fabrizio Innocenti e i predecessori Ivano Del Furia, Daniela Frullani e Mauro Cornioli. "Quest’anno ho preferito il pranzo con le persone più care – ha detto Gherardo – e quindi con mia figlia Patrizia, con il genero Luciano, con le nipoti Sara e Anna e con i pronipoti Marco e Aurora".

Non c’è più Delfina, la moglie e compagna di una vita: se n’è andata nel gennaio del 2021 dopo oltre 71 anni vissuti assieme e in piena sintonia; un record di longevità anche questo. Gherardo è oramai un "pezzo" di storia di Sansepolcro, anzi uno dei suoi protagonisti: c’era anche lui fra le 156 persone (partigiani e non) che difesero la città dagli assalti delle truppe naziste dal 1° agosto al 3 settembre 1944 e oggi non salta una sola commemorazione sia del 25 aprile che del 19 marzo, giorno dell’insurrezione popolare che, a 100 anni già compiuti, lui stesso ha raccontato a viva voce nel documentario sull’80esimo anniversario della liberazione, prodotto da Fondazione Progetto Valtiberina-Tevere Tv. E siccome molte situazioni sono state ricostruite, lui si è sentito anche un attore a tutti gli effetti.

C’è un segreto dietro questa invidiabile età? "Non lo so – risponde – dico soltanto che ho sempre evitato gli stravizi". Dipendente della Buitoni dal 16 agosto 1946 al 1° giugno 1979, quando è andato in pensione da caporeparto, Dindelli abita da sempre a due passi dal vecchio stabilimento, ora divenuto Centro Valtiberino, dove lui – ancora in forma e lucidissimo - è solito fermarsi il pomeriggio per scambiare quattro chiacchiere al bar con gli amici. "E’ come se tornassi nel luogo in cui ho lavorato, il che mi fa stare bene", dice. Eppure, il buon Gherardo – che già nel periodo della guerra aveva subito botte e conosciuto il carcere – ammette di aver visto da vicino la morte in tre circostanze: "Quando lavoravo nello stabilimento Beta della Buitoni, si era rotto l’ascensore e tenevamo su la gabbia con un regolo; nel togliere una vite con una chiave inglese, la gabbia venne giù e tutti noi impegnati ci salvammo per una questione di attimi. La seconda volta è di nuovo legata al periodo della guerra: avevo la mia famiglia sfollata in collina, dalla parte opposta a quella in cui mi ero recato con mio padre per prendere due fucili da caccia con le munizioni che i tedeschi avevano smarrito. Li caricammo adeguatamente coperti in una carretta, assieme a un prosciutto; al ritorno, eravamo giunti a ridosso del luogo in cui si trovavano i familiari, quando un gruppo di tedeschi ci bloccò e ci chiese cosa stessimo trasportando sotto la balla. Rispondemmo che avevamo i viveri per i familiari e fortuna volle che ci dissero di proseguire senza controllare nulla, altrimenti per noi sarebbe finita. Il terzo serio rischio l’ho corso negli anni Ottanta, durante una battuta al cinghiale a Cerbaiolo di Pieve Santo Stefano: all’improvviso, un colpo di fucile fece cadere il mio. Una scheggia della pallottola sparata dal collega mi aveva rotto la cinghia con la quale tenevo a tracolla il fucile, come se fosse stata una lama molto affilata. Per fortuna, ero appoggiato a una pianta: la provvidenza era di nuovo intervenuta in mio favore".

Di ricordi ne conserva tanti, compreso quello del doloroso giorno (31 luglio 1944) nel quale Sansepolcro perse il suo simbolo: la Torre di Berta, ultimo grande sfregio da parte dei tedeschi in ritirata. Un giorno che non dimenticherà mai e che nei suoi racconti di partigiano torna spesso. Gherardo sorride mentre stiamo conversando: è un uomo coraggioso e impavido ma al tempo stesso una persona che attraverso quel sorriso e il suo dinamismo, esprime gratitudine alla vita. E va avanti.