Salvatore Mannino
Ci fu un tempo, fra l’ultimo scorcio dell’800 e il primo del ’900, in cui il Casentino era una sorta di Versilia o di Costa Smeralda dell’epoca, frequentato dalla migliore società italiana e internazionale, oggi lo chiameremmo jet-set: letterati, grande aristocrazia del sangue o del denaro, addirittura sovrani. E’ in questa età dell’oro, imperniata su tre castelli, quelli di Valenzano, Romena (dove fra il 1901 e il 1902 Gabriele D’Annunzio, nel pieno della relazione con Eleonora Duse, scrisse parte dell’Alcyone) e Borgo alla Collina (i proprietari del quale, i Pauer d’Ankerfeld, vi ricevettero nel 1895 Re Umberto I), oltre che su un albergo famoso, il Grand Hotel Camaldoli, a fianco del monastero omonimo immerso nelle foreste, che si inserisce la storia di quella che potremmo chiamare un’altra Casa Florio, per dire della dinastia calabro-palermitana che ha dato origine alla fortunatissima saga-best seller di Stefania Auci, dominatrice da un paio di anni delle classifiche dei libri più venduti, ovvero i Bastogi, per meglio dire la seconda generazione della famiglia cui si deve la nascita della più antica società ancora quotata alla Borsa di Milano e dalla quale prende origine la ristrutturazione in forma di turrito maniero neogotico, frequentato dall’alta società tardo-ottocentesca, del castello di Valenzano, quello che ancora domina il panorama collinare di destra per chi da Subbiano risale la Regionale 71 verso Rassina e Bibbiena.
Qui la storia si biforca in due storie che a loro volta si incrociano. Da una parte quella del possente edificio, di antichissima origine, addirittura l’anno mille, passato per le mani delle più illustri famiglie aretine, dagli Ubertini ai Tarlati, in un punto strategico che domina l’accesso al Casentino,e infine diventato nel ’400 proprietà dei Rondinelli, che ne avevano ancora il possesso a fine ’800. Dall’altro quella dei Bastogi, celebre stirpe risorgimentale, grandi finanzieri e banchieri, protagonisti del capitalismo pre e post-unitario. Due parabole che si incontrano nel matrimonio fiabesco del 1878 fra Giovannangelo Bastogi e Clementina Rondinelli Vitelli, cui Valenzano era arrivato in proprietà per tramite della sorella Isabella, connubio celebrato in un opuscolo ad hoc persino da Yorick, pseudonimo di Pietro Cocculuto Ferrigni, uno dei giornalisti più noti del periodo post-unitario, firma de La Nazione e del Fanfulla.
Giovannangelo è il figlio primogenito di Pietro Bastogi, patriota di origine livornese, prima mazziniano e poi moderato, una delle grandi figure della Destra Toscana, ministro delle Finanze con Cavour e poi con Bettino Ricasoli fino al 1862, ma anche uomo d’affari di istinto finissimo. E’ lui il protagonista principale del primo grande scandalo nell’Italia della disillusione post-risorgimentale. Il tema è quello del completamento della rete ferroviaria nel mezzogiorno, per il quale si sono fatti avanti i parigini Rothschild, mitica dinastia della finanza internazionale. La convenzione con lo stato unitario è già pronta e vidimata dal governo Rattazzi quando Pietro Bastogi si fa promotore di un’altra cordata, tutta nazionale, che si propone alle stesse condizioni dei Rothschild. La Camera dei deputati di Torino straccia l’accordo con questi ultimi e quasi acclama la neonata Società delle Strade Ferrate Meridionali, di cui Bastogi è il principale azionista, capitale cento milioni di lire dell’epoca, un’enormità, vero e proprio atto di nascita del capitalismo finanziario nazionale.
Non basta però ad acquietare le voci di corruzione e di torbido. E’ la stessa Camera a promuovere una commissione d’inchiesta che arriva a conclusioni clamorose: uno dei deputati che più si sono spesi per Bastogi ha ricevuto da lui un compenso, oggi si direbbe una mazzetta, da un milione e mezzo, in più l’ormai ex ministro, costretto percià al ritiro di fatto dalla vita politica, ha lucrato una decina di milioni sulla differenza fra appalti e subappalti.
Questo per dire quanto sia importante e ricca la famiglia cui arriva in dote il castello di Valenzano con le nozze di Giovannangelo, il cui fratello Gioacchino diventerà deputato nel 1892 (eletto a Montepulciano) e poi senatore nel 1909, succedendo al padre nello scranno di Palazzo Madama. Ed è proprio a Valenzano che si dirigono le energie e le attenzioni di Giovannangelo. Nel 1885 si affida all’architetto Luigi Agnolucci di Sinalunga, uno dei maestri del neogotico toscano, per ristrutturare il castello secondo modalità medioevaleggianti. I lavori dureranno decenni, ne emerge la dimora imponente che si può ancora ammirare, maggior esempio di restauro stilistico negotico insieme al castello di Brolio, appartenuto appunto a Bettino Ricasoli.
Come i Florio, però, anche i Bastogi vanno incontro a un rovescio economico nei primi anni del ’900, che li costringe a vendere anche il Palazzo fiorentino che è stato sede della giunta regionale fino a pochi anni fa. Valenzano invece resta in famiglia. Alla morte della vedova Clementina Rondinelli passa ai figli e poi ai Paolozzi Strozzi che ne cedono il possesso a Marino Franceschi, del mega-emporio omonimo. Oggi è stato trasformato in un relais-ristorante di lusso, spesso sfondo di matrimoni sfarzosi. Della dynasty Bastogi, importante quanto i Florio e anche di più, oggi resta a malapena il ricordo. Chissà se qualcuno prima o poi trasformerà questa saga in un best-seller di qualità.