Liletta Fornasari
Il mondo del collezionismo privato aretino, che è stato oggetto di studi recenti, potrebbe essere reso noto ai cittadini attraverso esposizioni a tema, come nel caso dell’importante collezione Fossombroni, utilizzando antichi palazzi ora vuoti o quasi. Chi conosce la storia? Chi ha idea di dove si trovino ancora oggi dipinti importanti che fanno parte della donazione fatta al Comune di Arezzo dal conte Enrico Falciai Fossombroni nel 1893?
Dopo quella Albergotti, un’altra importante collezione cittadina era proprio quella Fossombroni, già documentata come quadreria piuttosto ricca nella seconda metà del Settecento e conservata all’epoca nel palazzo di famiglia in piazza San Domenico. Il nucleo seicentesco della collezione, destinato ad essere notevolmente arricchito nel Settecento, è reso noto da un inventario del 1708, fatto da Benedetto Luti, artista, accademico e perito dell’Accademia di San Luca a Roma. L’elenco è relativo ai novantotto dipinti di proprietà di Giovanni Battista Fossombroni, figlio di Severino, nonché letterato, medico e archiatra della corte pontificia. Egli abitò il palazzo aretino di Piazza San Domenico dal 1713 al 1742, trasferendovi i dipinti che stavano a Roma.
L’insediamento dei Fossombroni nella piazza risale al 1585, anno in cui Maddalena Romani, moglie di Giovambattista di Antonio Fossombroni ricevette in eredità dal padre una casa in via del Fondaccio, destinata nel corso del Seicento a diventare un vero e proprio palazzo. Al 1615 risale il pagamento a Teofilo Torri per avere eseguito un fregio a Jacopo Fossombroni. Tracce di una precedente collezione Fossombroni si ricavano dalle Ricordanze del Torri stesso, impegnato nel 1622 nella realizzazione di quattro quadri di paese per Vittorio Fossombroni, cugino di sua moglie, nonché antenato omonimo del noto personaggio ottocentesco. Alla poliedrica personalità di Giovanni Battista Fossombroni e ai suoi stretti contatti, sia con il mondo romano, che con quello granducale fiorentino, sono connesse le sue scelte collezionistiche, da un lato in linea con il gusto dell’aristocrazia ecclesiastica, e dall’altro con quello mediceo. Degnamente rappresentata la pittura romana di stampo classicista, da Francesco Trevisani a Carlo Maratta, sebbene non manchi la bella moderna pittura, sempre romana, ora detta malamente barocca, da Ludovico Gimignani a Lazzaro Baldi.
Molti dipinti dell’elenco del 1708 corrispondono a quelli citati in un secondo inventario, che descrive i quadri nelle camere “parate” del palazzo e che precede un ulteriore inventario del 1845, dal quale risulta una nuova sistemazione e successivi arricchimenti. Tra le personalità che hanno continuato ad arricchire la collezione deve essere menzionato Giacinto Fossombroni, “chiarissimo letterato”, matematico, storico, membro dell’Arcadia e priore di Arezzo negli anni 1749, 1752 e 1757. Egli sposò nel 1745 Lucilla Albergotti Siri dei Baroni del Regno di Polonia e abitò il palazzo fino al 1801, dando ad esso una struttura elegante, come risulta documentata nel 1799, anno in cui le sale rinnovate ospitarono la regina Adeaide di Torino, venuta in visita con il marito Emanuele IV.
Tra coloro che si sono occupati della collezione, sebbene con qualche limite, deve essere menzionato anche il grande Vittorio Fossombroni, personalità di primo piano presso la corte granducale lorenese, oltre che lo stesso Enrico Falciai Fossombroni, esponente della Destra Storica ottocentesc, primo deputato di Arezzo nella Camera dei deputati dell’Italia unita.
Tre sostanzialmente i nuclei che al momento della suddetta donazione del 1893 sono pervenuti all’ allora Pinacoteca Comunale, oggi inglobata nel Museo d’Arte Medievale e Moderna, per essere poi divisi in sedi diverse. Grazie alla ricerca svolta in prima istanza da Paola Oretti e poi da chi scrive in più occasioni, - e ringrazio anche gli eredi- molti i dipinti della collezione, che oggi sono collocati in numerose sedi cittadine, tra cui, oltre al museo e il suo deposito, il collegio di Santa Caterina, il Palazzo delle Statue, sede di Soprintendenza, la Casa del Petrarca, e già il Tribunale e la Procura (ora forse nel depositi della sovrintentendenza. Molti sono i quadri di valore che meritano di essere visti, cercando eventualmente attraverso la collezione di ricostruire uno spaccato di storia aretina proiettandola in una dimensione non provinciale.
Molto bella è la Flagellazione di Trevisani, inspirata al dipinto omologo che il celebre artista istriano, richiesto da molte corti europee dell’epoca, ha dipinto per la cappella della Crocifissione in San Silvestro in Capite a Roma tra il 1695 e il 1696. Il dipinto Fossombroni è sicuramente una variante che ha visto la partecipazione dell’atelier romano di Trevisani. Autografa del maestro in modo assoluto è la Maddalena, a mezzo busto. Affascinanti e scenografiche sono le due tele, oggi nel Palazzo delle Statue, raffiguranti Idolatria di Salomone e Scipione l’Africano in atto di restituire la sposa schiava al principe d’Altiburo, e opera, rispettivamente del celebre Ludovico Gimignani, la prima, e di Giovanni Battista Lenardi, il secondo. Nome ancora più prestigioso è quello di Salvatore Rosa, indicato come autore di un paesaggio tormentato, oggi al Museo, senza dimenticare quelli di Vincenzo Codazzi, di Francesco Mola e di Carlo Caroselli. La lista dei dipinti rintracciati potrebbe continuare a lungo, arrivando anche anche alle acquisizioni di Giacinto e a quelle di Vittorio Fossombroni, che aveva acquistato anche un palazzo a Firenze, oltre che di Enrico Falciai Fossombroni.