
L’attività di pittori, scultori e decoratori tra Eremo e Santuario è ampiamente delineata ma ci sono diverse figure da riscoprire
Fornasari
A Camaldoli, dalla ricognizione e dall’analisi recentemente fatte emergono dati documentari nuovi che, abbinati a quelli già pubblicati in precedenza e facendo riferimento a inventari e a guide storiche, evidenziano l’attività a fianco di figure di spicco anche di artisti poco noti, ma interessanti come presenza in relazione alla committenza e al collezionismo dei monaci camaldolesi in un arco di tempo molto ampio, dalla fondazione ai nostri giorni.
In molti casi si tratta di monaci pittori o di loro parenti, in linea con una tradizione antica, basti pensare a Lorenzo Monaco (1370-post 1422), celebre pittore operante a Firenze tra il Trecento e il XV secolo, nonché entrato nel monastero camaldolese fiorentino di Santa Maria degli Angeli nel 1391.
A Camaldoli, un caso molto recente in tale senso, all’epoca ricordato anche dalla stampa nazionale e celebrato in occasione del centenario della nascita con una mostra antologica, fatta a Poppi, è quello del monaco Paolo Tarcisio Generali, nato a Fano nel 1904, dove apprese dal padre i rudimenti dell’arte e coltivò una precoce vocazione religiosa, e morto a Camaldoli nel 1998, entrando nella comunità monastica a trent’anni con il nome di don Tarcisio.
I suoi dipinti sono visibili in molti ambienti di Camaldoli, in particolare nel cenobio, e sono da interpretare come pagine di un diario, nelle quali “si mescolano e si condensano paesaggi, nature morte, volti, emozioni, preghiere”, come scrive Giovanni Gardini nel catalogo della mostra casentinese.
Paolo Tarcisio Generali è l’ultimo di una lunga serie di monaci artisti che hanno contribuito ad arricchire il patrimonio monastico ed eremitico. Un caso decisamente singolare, reso noto da Lucilla Conigliello nel 1995 risolvendo un enigma, è quello seicentesco di Venanzio l’Eremita, documentato dal 1618 al 1655 e che oggi grazie alle ricerche della studiosa sopra indicata, si è rivelata una figura particolarmente per la Congregazione eremitica, sia come religioso, sia come pittore di stampo caravaggesco. Ripetutamente eletto priore nelle principali case camaldolesi all’epoca attive, è “uomo di governo” - come scrive la Conigliello - della Congregazione e “personaggio chiave” anche per la sua attività in Polonia, negli eremi di Monte Argentino presso Cracovia e di Selva Aurea.
Figura fino a oggi passata inosservata e riscoperta nel recentissimo volume su Camaldoli, voluto dalla Fondazione Ente Cassa di Risparmio di Firenze ed edito da Mandragora nel dicembre 2024, è quella di Raffaello Soldaini, monaco operante a Camaldoli nei primi decenni del XIX secolo, allievo del grande Pietro Benvenuti e molte volte nominato nelle fonti.
Monumentale è la tela rintracciata nei depositi della Soprintendenza che raffigura la Vergine, San Giovanni Evangelista, Santa Maria Maddalena e Nicodemo che “dopo avere assistito alla Crocifissione di Gesù tornano dal Calvario. La tela fu eseguita nel 1827 per volere del Padre Angelo Farferi, priore del monastero. Nella Cronaca del monastero all’anno 1931 si legge che il giorno 25 ottobre fu giorno di grande solennità all’Eremo perché fu dedicata al Sacro Cuore la nuova cappella del Capitolo e in questa circostanza fu collocata sull’altare maggiore l’opera omologa di Adolfo Ugo Rollo (1898-1985), artista pugliese più volte attivo a Camaldoli, che non era monaco, ma nel 1967 decise di trasferirsi nel convento dei Cappuccini di Giovinazzo dove rimase fino alla morte. Nella tela sono ritratti tutti i monaci che allora vivevano a Camaldoli.
Nell’aula capitolare dell’Eremo è ancora visibile il grandioso quadro con la Visione di San Romualdo di Augusto Mussini, che giunse a Camaldoli nell’agosto del 1914 chiedendo di ritirarsi in loco per qualche tempo. Nato a Reggio Emilia nel 1870 e morto di febbre spagnola a Roma nel 1918, era detto fra’ Paolo. Egli era una figura singolare di frate-pittore, errante e si dice “eccessivamente nervoso”. Egli partecipò a molte correnti e il bellissimo dipinto di Camaldoli appartiene a quella divisionista, dimostrando punti di tangenza anche con il simbolismo.
La scelta di avvicinarsi ai conventi cappuccini fu in parte una conseguenza di un duello che egli fece a Firenze, dove frequentava l’Accademia. In data 26 ottobre del 1916 sparì dal capoluogo toscano, e i giornali lo dettero per morto nel duello fatto con l’amico pittore Giovanni Costetti, divenuto rivale in amore a causa della pittrice Beatrice Ancillotti. I padrini erano Libero Andreotti e Adolfo De Carolis, autore delle pittura nel Palazzo della Provincia di Arezzo. Mussini era fuggito a Trieste dove prese la decisione di farsi frate.
Il ritiro a Camaldoli è successivo ad un periodo di tensione molto forte, al punto tale da meditare il suicidio. Ha lavorato moltissimo nella Marche. Il suo arrivo in Casentino ebbe luogo dopo un soggiorno dopo un soggiorno a Buenos Aires. Nell’Eremo di Camaldoli scrisse anche la sua biografia che però egli stesso dette alle fiamme.