LUCA BERTI
Cronaca

I quartieri nella storia. L’anticipo sulla sfida al Buratto tra calcio e feste di Carnevale. Così la città riscoprì il medioevo

All’inizio del ’900 sono quasi dimenticati, poi il sindaco Fiumicelli riconosce Santo Spirito. Di lì a poco la scelta di scendere in piazza con le quattro antiche porte che si sfidano.

I quartieri nella storia. L’anticipo sulla sfida al Buratto tra calcio e feste di Carnevale. Così la città riscoprì il medioevo

All’inizio del ’900 sono quasi dimenticati, poi il sindaco Fiumicelli riconosce Santo Spirito. Di lì a poco la scelta di scendere in piazza con le quattro antiche porte che si sfidano.

All’inizio del Novecento i quartieri medievali di Arezzo, esaurite da tempo le funzioni pubbliche dell’epoca comunale, sono una realtà dimenticata. A riaccendere l’interesse degli storici verso le antiche partizioni è nel 1904 Ubaldo Pasqui che nei suoi “Documenti per la storia della città di Arezzo nel medioevo” pubblica una planimetria della città con i confini dei quartieri medievali, tratta dalla descrizione contenuta nello Statuto del 1345. Quartieri che prendevano nome da quattro fra le tante porte della cinta muraria: porta del Foro, porta Sant’Andrea, porta Crucifera e porta del Borgo. Negli anni Venti del Novecento è la Brigata degli Amici dei Monumenti, che sotto la presidenza di Pier Ludovico Occhini raccoglie il fior fiore dell’intellighenzia cittadina, a farsi promotrice della valorizzazione del medioevo sull’onda della riscoperta nell’Ottocento sull’onda del romanticismo. Dell’età di mezzo, le cui manifestazioni sono considerate genuina espressione della cultura popolare, si cercano di far rivivere non soltanto gli aspetti architettonici, ma anche quelli sociali e di costume attraverso rievocazioni, feste, mode. E anche attraverso i quartieri, dei quali il segretario della Brigata, Ascanio Aretini, disegna gli stemmi in modo fantasioso, privo com’è di riferimenti storici, che continuano ancora oggi a mancare. E in effetti è una visione del passato fantastica, per certi versi onirica. Tanto è vero che fra i quartieri vede la luce anche un mai esistito Quartus S.M. Plebis (Quartiere di Santa Maria della Pieve), nel cui stemma campeggia, intorno al campanile delle cento buche, la selva di torri dell’antica acropoli.

Ma nell’Arezzo degli anni Venti c’erano entità rionali di fatto a San Lorentino, Colcitrone e Santa Croce, Santo Spirito e nella nuova area residenziale di Saione, in competizione fra di loro per il miglior addobbo delle rispettive strade, per l’elezione della “reginetta del Carnevale” e anche in un torneo di calcio promosso nell’agosto 1928 dalla Juventus Fc (che era allora la denominazione dell’Arezzo calcio) per rendere popolare il gioco del pallone. Si avverte poi anche ad Arezzo l’esigenza del partito fascista, giunto da pochi anni al potere, di penetrare in tutti i gangli della società, creando associazioni rionali inquadrate nella struttura totalitaria in costruzione. E sarà proprio il giovane medico Fiumicello Fiumicelli, primo sindaco fascista della città, a favorire la nascita a Santo Spirito nel 1926 di un’associazione rionale strutturata con statuto e assemblea dei soci. È da qui che nasceranno fra il 1931 e il 1932 le società di quartiere protagoniste della Giostra del Saracino. Un risultato cui si giunge attraverso un percorso frammentario. Nel corso del 1928, con i fondi di una sottoscrizione popolare, si realizza una nuova bandiera cittadina, di colore amaranto (vinato scuro) con i tradizionali stemmi civici: cavallo nero, croce d’oro in campo rosso e ‘partito’ rossoverde.

L’insegna fa la sua prima uscita pubblica il 4 novembre, decimo anniversario della Vittoria, recata dai donzelli comunali che vestono ancora la divisa ottocentesca con frac e tuba. Per ovviare a questa anomalia si pensa di affidare in futuro l’incarico di portare il nuovo gonfalone a dei valletti in costume e nell’ambito della Brigata disegnano i figurini Natale Luci e Gualtiero Bacci Venuti. Il passo successivo è quello di affidare alle “nasciture associazioni rionali” il compito sia di raccogliere i fondi, sia di scegliere il giovane destinato a indossare il nuovo costume, contrassegnandolo con lo stemma del rispettivo quartiere.

Della realizzazione del progetto si fa carico nel 1930 il neonato Ente Turistico Aretino che, con una palese contraddizione, divide la città “in cinque quartieri”: Santa Croce e Colcitrone, Santo Spirito, San Lorentino e San Clemente, Centro (antica Porta Burgi), Saione. Il riferimento è ai rioni di quel tempo, anche se non manca un richiamo alla realtà medievale con Porta del Borgo. I nuovi costumi sono usati per la prima volta in pubblico il 1° ottobre 1930 per l’inaugurazione della Cattedra Petrarchesca, quando i valletti sono presentati come “la nuova famiglia del podestà”, che dal 1° gennaio 1927 regge da solo il Comune richiamando nel nome una magistratura medievale. Un anno più tardi, il 7 agosto 1931, sono gli stessi cinque comitati, definiti adesso più opportunamente rioni, a dar vita alla prima edizione della Giostra del Saracino dell’età contemporanea, non senza un’estensione dei riferimenti alla realtà medievale, con la comparsa nella terminologia di Porta Fori (Porta del Foro) e di Porta Crocifera.

La riscoperta degli antichi Quartieri di Arezzo si completa fra il 1931 e il 1932, con il consolidamento della Giostra e la nascita delle Società di Quartiere nell’ambito dell’Opera Nazionale Dopolavoro: riappare allora l’antica Porta Sant’Andrea e scompaiono il novecentesco rione di Saione, ma anche il medievale Porta del Borgo. Le ragioni di quest’ultima anomalia non sono note, ma è da credere che si sia giudicato inopportuno sacrificare la denominazione moderna di Santo Spirito, rione figlio primogenito del regime, additato per anni a modello, a favore di quella più appropriata di Porta del Borgo. In questo modo, per altro, i nuovi quartieri vengono messi su un piede di parità, azzerando la vittoria conseguita proprio da Porta Burgi in quella prima, atipica edizione della Giostra.