LUCIA BIGOZZI
Cronaca

"I rifugi scavati nelle colline". Foibe e il ricordo della paura

Matilde affida ai Diari di Pieve l’incubo della fuga e della famiglia spezzata. La ritirata sui monti, le bombe su Fiume, la cessione a Tito e l’addio alla città.

Febbraio 1947, profughi in partenza da Pola. Foto: via Wikimedia Commons

Febbraio 1947, profughi in partenza da Pola. Foto: via Wikimedia Commons

"Per noi Fiumani la vera tragedia cominciò dopo la fine della guerra, nel 1947, quando per il Trattato di Londra la nostra città fu ceduta alla Jugoslavia". Matilde Lizzul affida ai Diari di Pieve Santo Stefano la memoria di quel passaggio doloroso. Nel 1941 la sua famiglia fu costretta a lasciare Fiume e a riparare in un villaggio di contadini, sei anni più tardi l’orrore del regime titino e il grande esodo di migliaia di italiani. Che non torneranno più nella loro terra. Nella emoria Matilde Lizzul racconta il dramma oggi custodito nell’Archivio diaristico. E nel giorno in cui si ricorda l’orrore delle Foibe diventa una testimonianza potentissima.

"Quando nell’aprile del 1941 Germania e Italia invasero la Jugoslavia abitavamo tutti a Fiume. La nostra bella città era proprio al confine con la Jugoslavia, perciò, in caso di guerra, saremmo stati in prima linea, il che significava correre un grandissimo pericolo. Venne l’ordine di lasciare la città e fummo obbligati a sfollare. I miei genitori decisero d’andare dal nonno a Sumber, un paesino dell’Istria orientale, perché sembrava un luogo sicuro. Partimmo su un camion dove la mamma e il papà avevano messo sotto le cose necessare e soprattutto roba da mangiare. Noi eravamo in cinque. Quando arrivammo a Sumber, tutto il villaggio ci venne incontro. E solo allora, quando si resero conto del nostro sfollamento, quei contadini che vivevano completamente staccati dal mondo si resero conto della gravissima situazione di Fiume e dell’Italia. Rimanemmo in Istria per circa tre settimane perché, per ragioni strategiche di guerra, il fronte era stato spostato in Croazia. Così tutti i Fiumani poterono ritornare a casa. Anche se ciò non significò la fine della guerra: al contrario, questa esplose con tutta la sua potenza. Continuarono i bombardamenti giornalieri, ossessionanti, che a poco a poco distrussero tutte le città. Per fortuna, a Fiume, c’erano tanti rifugi, necessari per accogliere tutti i cittadini terrorizzati dall’invasione dal cielo, di questi aeroplani che lanciavano le bombe dappertutto. I nostri rifugi erano stati scavati dentro alle colline della città. Erano ampi, alti e sicuri, e molte volte dovevamo rimanere chiusi là dentro non per ore, ma per giornate intere. Ma per noi Fiumani la vera tragedia cominciò dopo la fine della guerra, nel 1947, quando per il Trattato di Londra la nostra città fu ceduta alla Jugoslavia.

Una decisione tragica per tre motivi: era difficile accettare il feroce regime comunista di Tito. Molti fiumani erano profondamente italiani. Chi voleva mantenere la cittadinanza italiana non poteva rimanere a vivere a Fiume. Vivere sotto il tremendo regime di Tito creava delle difficoltà insuperabili, perché il regime defraudava la popolazione della sua proprietà e soprattutto ne annullava la dignità e l’indipendenza. Cominciò così la nostra agonia. Questa volta nessuno ci mandò via, come era successo nel 1941, ma fummo noi stessi, cittadini fiumani, a decidere di lasciare per sempre la nostra città. Cominciò così fin dal 1945 il grande ‘Esodo’ che fu una fuga da un regime di terrore, andammo avanti, lentamente, per anni: il 90 per cento della popolazione incominciò a lasciare la nostra amata città".

Lucia Bigozzi